di Gionata Borin

La maxi-operazione “Carthago-Maestrale”, condotta dalla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, sembra aver fatto definitivamente luce sull’omicidio di Maria Chindamo. Una fine terribile quella della giovane imprenditrice di 42 anni, sparita il 6 maggio 2016. Stando alle ricostruzioni di alcuni collaboratori di giustizia, la donna venne ammazzata, il corpo dato in pasto ai maiali, infine i suoi resti macinati con un trattore per cancellare ogni traccia.

Intorno all’omicidio della giovane donna, ci fu una “convergenza di moventi”: la gestione dei terreni avuti in eredità dal marito morto suicida, i quali facevano gola alla potente famiglia ‘ndranghetista dei Mancuso; il suo nuovo amore con un poliziotto visto come un disonore; la sua voglia di diventare imprenditrice e di crescere i suoi figli lontano da quella mentalità mafiosa; il fatto che si era pure iscritta all’università.

Questa sua libertà di rifarsi una vita, di essere una donna ed un’imprenditrice lontana dal contesto mafioso non le fu perdonata dalla ‘ndrangheta vibonese.

Ecco: questa è la spregiudicata e criminale sub-cultura mafiosa, dove agli affari illeciti, affianca violenza, prevaricazione, maschilismo, metodi patriarcali e liberticidi.

Quando saremo chiamati a votare in qualsiasi tornata elettorale: comunale, regionale, nazionale ed europea; forse dovremmo pensare a questa foto col volto sorridente di Maria Chindamo, a quello che le è stato fatto e alle sue speranze spezzate di rifarsi una nuova vita e, dopo averci pensato, forse eviteremo di votare quei politici i quali, tra pessime frequentazioni e contiguità; tra situazioni o comportamenti opachi e metodi clientelari pur non costituendo reato, legittimano le mafie e quella mentalità mafiosa. Questo senza dover attendere un eventuale intervento repressivo della magistratura, delegandone così la selezione della classe dirigente. Senza, come sosteneva Paolo Borsellino, trincerarsi dietro lo schema della sentenza penale.

#AnchiosonoMariaChindamo

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