Mancavano pochi giorni al Natale 2020 quando, poco dopo le 14.30, alla Sabino Esplodenti si verificò un incidente sul lavoro nel quale morirono tre operai. Paolo Pepe, 45 anni, Nicola Colameo, 45, e Carlo Spinelli, 54. Mentre oggi a Casalbordino si rivivono le stesse scene, con altri tre lavoratori che hanno perso la vita dopo la deflagrazione avvenuta in tarda mattinata, è prevista per domani, dinanzi al gup del Tribunale di Vasto, l’udienza preliminare per quella tragedia di tre anni fa. Sotto inchiesta, per quell’incidente, ci sono i vertici dell’azienda. La stessa società è sottoposta a procedimento penale per responsabilità amministrativa per omicidio colposo plurimo.

Giovedì 14 settembre davanti al giudice si devono presentare 10 imputati: l’accusa principale, per tutti, è cooperazione colposa in omicidio colposo, per colpa generica cagionata dalla negligenza, imprudenza e imperizia, e per colpa specifica, consistita nella violazione di diverse norme antinfortunistiche. Questo sono le accuse formalizzate nel mese di novembre dello scorso anno nell’atto di conclusioni indagini sull’esplosione all’interno della fabbrica. Gli imputati sono il legale rappresentante e presidente del Cda della Esplodenti Sabino spa, quattro consiglieri di amministrazione, il direttore dello stabilimento, il responsabile del servizio protezione e prevenzione, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il capo reparto, la società in persona del legale rappresentante.

La Sabino Esplodenti si occupa di smaltimento di materiali esplosivi bellici dal 1972. È una fabbrica a rischio di incidenti rilevanti e quindi sottoposta alla direttiva Seveso (che comprende una serie di adempimenti per la prevenzione degli incidenti). Ma non è nuova a queste tragedia: nella stessa fabbrica nel 1992 era morto il 48enne Bruno Molisani, ucciso dall’innesco di una spoletta. Nel 2009 due persone rimasero ferite gravemente in un’esplosione. Nel dicembre 2020 lo scoppio che provocò la morte dei tre operai. Sottoposta a sequestro, la fabbrica rimase ferma per sette mesi. Anche per un altro decreto di sequestro firmato dal procuratore di Vasto Giampiero Di Florio ad aprile 2021: accusa di reati ambientali, nello specifico di aver stoccato senza autorizzazione rifiuti pericolosi sul terreno in varie aree dello stabilimento. Già a luglio 2021, però, arrivò il dissequestro con il via libera del giudice, e le attività erano riprese. Oggi la nuova tragedia.

La Esplodenti Sabino peraltro è già stata al centro di misteri e di inchieste, come ricostruito da Il Fatto Quotidiano. Nel 1999 il proprietario e il direttore tecnico della Sabino patteggiarono per aver detenuto illegalmente dieci tonnellate di esplosivo T4. L’azienda fu anche l’oggetto di un’interrogazione parlamentare dopo le denunce di Antonio Saia sui quantitativi di armi ed esplosivi partiti dai porti abruzzesi con destinazione Medio Oriente ed ex Jugoslavia.

“La notizia di un nuovo incidente, oggi, alla Sabino Esplodenti con tre morti mi riempie di indignazione e rabbia. Dopo circa un mese dall’esplosione del 21 dicembre 2020 che causò la morte di tre operai io e Augusto De Sanctis, del Forum Acqua Abruzzo, presentammo tre corposi esposti alla Procura della Repubblica di Vasto per segnalare una serie di incongruenze sulle autorizzazioni ambientali e sugli adempimenti in materia di sicurezza che hanno contribuito all’apertura di un’inchiesta con il sequestro dell’azienda”, scrive, in una nota, Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista, coordinamento di Unione Popolare. “E’ pazzesco – continua – che con un processo imminente sulla precedente strage sia stata sciaguratamente consentita la riapertura con una procedura semplificata. La Regione Abruzzo ha persino deciso di non assoggettarla alla procedura di Via fermandosi al mero screening nonostante puntuali osservazioni di associazioni e della stessa Provincia di Chieti in cui si sollevavano pesanti questioni a cui non è stata neanche data risposta”.

Acerbo sottolinea anche un altro aspetto: “Avevamo già denunciato – continua – la colpevole negligenza di tutte le autorità competenti, dalla Prefettura al Comune, per uno stabilimento che è classificato ad alto rischio sulla base della Direttiva Seveso ma è incredibile che si sia consentito di riprendere l’attività. Per dire, poco fa sono andato a controllare i siti web istituzionali di Prefettura e Comune e non sono riuscito a trovare l’obbligatorio Piano di Emergenza Esterno che tutti i cittadini dovrebbero conoscere in caso di criticità. Un documento fondamentale, che la Prefettura deve predisporre, da rinnovare e aggiornare ogni tre anni tanto è importante. Tra l’altro mi pongo una domanda: esiste? Ricordo che anche tre anni fa avevamo riscontrato e segnalato questa assenza”. Poi il segretario del Partito della Rifondazione Comunista conclude: “Ci evitino lacrime di coccodrillo e comunicati di cordoglio la giunta, i partiti presenti in Consiglio regionale e i parlamentari abruzzesi che non hanno fatto nulla in questi anni o che magari si sono anche attivati per la riapertura. Politica e istituzioni sono corresponsabili di questa strage”.

Articolo Successivo

Tavolo Whirlpool, tutti i 312 ex lavoratori verso l’assunzione da parte della nuova proprietà Tea Tek

next