Sebbene gli Emirati Arabi Uniti, sede della Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop28) per il 2023, si siano impegnati a ospitare un vertice “inclusivo”, i documenti interni e riservati che stanno trapelando lasciano intendere il contrario.

Dopo il documento strategico diventato pubblico ad agosto, il Centre for Climate Reporting ha ottenuto gli audio di un incontro nel quale si è discusso su come evitare di affrontare questioni relative alla situazione dei diritti umani nel paese, quali ad esempio la condizione dei lavoratori o delle persone Lgbtqia+.

Appare sempre più evidente che la priorità degli Emirati sia quella di tutelare la propria reputazione, cercando di far passare sottotraccia i progetti di espansione del settore fossile, che è esattamente il principale responsabile dell’emergenza climatica: priorità confermata, del resto, dalla decisione di far presiedere la Cop28 al presidente dell’agenzia petrolifera nazionale.

Viene inoltre da chiedersi come possa definirsi “inclusivo” un vertice ospitato da uno stato che arresta i dissidenti, tiene in carcere una sessantina di oppositori anche dopo la fine della loro condanna e criminalizza le relazioni consensuali tra persone dello stesso sesso.

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