Cristina Rivera Garza, scrittrice messicana tra le più note e apprezzate della sua generazione, ha impiegato 30 anni per raccontare la storia della sorella in L’invincibile estate di Liliana, pubblicato in Italia da Edizioni Sur. Studentessa di architettura, nel luglio del 1990 Liliana è stata uccisa nel suo appartamento a Città del Messico dall’ex fidanzato che aveva deciso di lasciare. Nel libro l’autrice presenta sua sorella facendola parlare in prima persona. Liliana, infatti, scriveva i suoi pensieri ovunque: su quaderni, agende, bigliettini e libri. Scriveva lettere per le amiche, annotava idee.

Un “archivio degli affetti”, ritrovato in alcune scatole rimaste nella casa di famiglia, che Cristina Rivera Garza ha ordinato e utilizzato per raccontare sua sorella come se fosse accanto a noi. Il risultato è una narrazione dove Liliana ci parla e parla dei suoi desideri e paure, della sua visione del mondo e dei progetti per il futuro. Avrebbe voluto viaggiare, frequentare un master a Londra e continuare a vivere per come si sentiva e per com’era: una donna libera. L’autrice (ospite al Festivaletteratura di Mantova domenica 10 settembre, a Bologna alla biblioteca Cabral l’11 settembre e a Roma alla libreria Tuba il 12 settembre) ha poi raccolto le testimonianze di amici e colleghi dell’università, dei genitori e di altri familiari: tutti la ricordano come una giovane donna coraggiosa, sorridente e generosa, appassionata. È così che l’elaborazione del lutto diviene collettiva. Una preghiera rivolta a Liliana e a tutte le donne che in Messico, e non solo, hanno perso la vita e non hanno avuto giustizia. Secondo i dati dell’Istituto nazionale di statistica e geografia (Inegi), nel Paese negli ultimi dieci anni sono state uccise in media dieci donne ogni giorno. Quando L’invincibile estate di Liliana è stato pubblicato in Messico nel settembre 2020, è diventato un caso letterario. L’attenzione mediatica ricevuta ha spinto le autorità messicane a cercare e ritrovare il fascicolo giudiziario sull’omicidio di Liliana. Quelle stesse carte che l’autrice aveva cercato incessantemente nei tribunali di Città del Messico scontrandosi con un muro di gomma, come molte altre famiglie che hanno provato lo stesso dolore. Poco dopo l’uscita del libro, Cristina Rivera Garza ha aperto un account di posta elettronica per ricevere informazioni sul femminicida. Nell’agosto 2021, l’autore di un messaggio anonimo sosteneva che aveva cambiato identità ed era scappato negli Stati Uniti, dove sarebbe morto nel 2020. Una notizia finora non confermata. Ma la giustizia che ricerca l’autrice non è ormai quella punitiva: è riparativa, è la cicatrice che cuce un ferita con la forza della memoria condivisa. Così Liliana continua a vivere.

Che cosa l’ha spinta a scrivere L’invincibile estate di Liliana?
“Un libro inizia molte volte prima di cominciare. Ho iniziato a scrivere L’invincibile estate di Liliana, il più personale dei miei lavori, molte volte. Ho dovuto aspettare di fare i conti con il mio lutto e con quello della mia famiglia. Ma ho anche dovuto attendere che, come società, avessimo creato un linguaggio che potesse raccontare la storia di Liliana secondo il suo punto di vista e quello dei suoi amici e parenti, e non secondo l’egemonia dominante del patriarcato e la narrativa del “delitto passionale” che implicitamente accusa la vittima e scagiona il colpevole. Ho iniziato le ricerche per il libro poco prima della pandemia. La consapevolezza che sarei potuta morire ha rafforzato la necessità di pubblicarlo. Con L’invincibile estate di Liliana oggi abbiamo un racconto della vita di Liliana basato sui suoi diari, appunti, libri. Sui progetti e sui ricordi degli amici e molto altro. Non volevo che la memoria di mia sorella scomparisse con noi”.

Dopo 30 anni, ha aperto le scatole dove erano stati conservati i quaderni, gli scritti, i fogli di Liliana che ha definito come “un’archivista”. Come è stata questa scoperta e perché ha deciso di inserirli nel libro?
“Tutti in casa sapevano dove si trovavano le scatole con gli oggetti di mia sorella, ma non avevamo mai avuto la forza o la determinazione per aprirle. Quando l’ho fatto nel gennaio 2020, prima della pandemia, cercavo un’informazione: una rubrica che mi permettesse di ritrovare i suoi amici dell’università. Ho trovato molto di più: un archivio. C’era la vita di mia sorella raccontata dalle sue parole. Era come se una lettera smarrita fosse finalmente arrivata a casa. La sensazione di presenza, la sua presenza materiale, era travolgente. Sentivo Liliana vicina a me, respirava accanto a me: è la sensazione che ho cercato di replicare nel libro. Quella sensazione è stata la guida che mi ha permesso di prendere tutte le decisioni estetiche”.

In Messico il reato di “femminicidio” è stato introdotto nel codice penale solo nel giugno 2012. Prima era definito come “crimine passionale”. Qual è stato il ruolo dei movimenti delle donne nell’ottenere questo risultato?
“I movimenti delle donne, comprese le femministe, sono cresciuti in dimensioni e importanza negli ultimi decenni in tutta l’America Latina. Al loro lavoro di strada, comunitario e incessante, pieno di rabbia e dolore, dobbiamo la produzione di un linguaggio sufficientemente preciso ed empatico per raccontare la storia della violenza contro le donne in un altro modo. Dobbiamo questa legislazione anche a questo lavoro di ribellione e protesta costante, così come all’istituzione di una procura per il femminicidio in Messico e, fino a ieri, alla depenalizzazione dell’aborto ad Aguascalientes, uno Stato del Messico. L’influenza della cosiddetta “Marea verde” (il movimento che si è battuto per la legalizzazione dell’aborto, ndr) in Argentina dimostra che il movimento è forte e fondamentale anche per il futuro”.

In che modo bisognerebbe parlare delle donne vittime di violenza e femminicidio?
“Per molti anni, almeno a partire dal XIX secolo, in Messico la figura del ‘delitto passionale’ è stata utilizzata per discolpare le azioni violente degli uomini; si credeva che un uomo sopraffatto da un’emozione violenta uscisse da se stesso e, quindi, non fosse responsabile delle sue azioni. Ora esistono metodi per misurare le diverse forme di violenza, dalle molestie di strada alla forma più letale di violenza contro le donne che è il femminicidio. Un errore comune è pensare che sia una violenza straordinaria e non strutturale, come è in realtà. Raccontarla concentrandosi sulla mente o sulla psicologia dell’assassino corrisponde alla convinzione della qualità ‘straordinaria’ di questi crimini. In realtà, si tratta di una violenza costitutiva, espressione della disuguaglianza di genere che ancora struttura le nostre società. Un altro errore comune è pensare che i femminicidi avvengano solo in determinate famiglie o classi sociali o addirittura in determinati Paesi. Certamente le cifre sono agghiaccianti per Paesi come il Messico o l’Honduras, con 10 donne uccise ogni giorno, ma i numeri sono abbastanza preoccupanti anche in Paesi come gli Stati Uniti dove tre donne sono vittime di femminicidio ogni giorno. È una ‘epidemia silenziosa’”.

Che potere ha il linguaggio?
“Siamo esseri sociali. Ci raccontiamo per esistere. Esistiamo perché ci raccontiamo. Un cambiamento nella narrazione crea cambiamenti anche nella vita. Le parole contano: fanno male e anche salvano. Devono sempre essere usate con attenzione”.

In Messico nel 2022 sono state uccise 10 donne al giorno. Che cosa succede oggi nel Paese?
“C’è una mobilitazione costante, sia nella piazza sia nel linguaggio pubblico, di interi contingenti di giovani (e meno giovani) donne cresciute in un Paese incapace di tutelare la loro incolumità. Alle donne che rischiano per strada e non abbassano la voce, che insistono ancora, e ai loro scritti o alla musica o alle azioni quotidiane, a tutto questo insieme, dobbiamo il futuro”.

L’invincibile estate di Liliana è una strada per avere giustizia?
“La giustizia non è solo punitiva. C’è ancora molto da fare sul piano della verità e della memoria, due elementi fondamentali della giustizia riparativa. I lettori di L’invincibile estate di Liliana ora stanno partecipando alla riattivazione della memoria di Liliana: la ricordano nei cortei, nelle opere d’arte e nei dibattiti. Hanno trasformato con la forza il nostro lutto solitario e silenzioso in un abbraccio che ci accompagna in ogni momento. La vita di Liliana è presente. Lei è ancora qui, tra noi. E ci parla”.

Articolo Precedente

Stupro, un ragazzo su quattro convinto che la vittima se la sia cercata. Le risposte dei giovani nell’indagine sulla violenza di ActionAid

next
Articolo Successivo

Cop28, così gli Emirati cercano di evitare che si parli di diritti umani

next