In questa estate torrida l’Italia sta diventando tristemente famosa per la violenza contro le donne. Non si tratta di un fenomeno isolato al nostro paese, questi comportamenti barbari sono di casa in alcune regioni dell’India e nelle riserve dei nativi americani, negli Stati Uniti e in Canada. Paesi e luoghi che appartengono a realtà socioculturali particolari, molto diverse dalle nostre. Eppure, nella ricerca dei perché tutto ciò avviene anche da noi, nazione che appartiene al G7, potrebbe essere utile trovare i punti di contatto con queste società.

Secondo i sociologi in India, come nelle riserve del Nord America, uno dei fattori chiave della violenza sulle donne è l’interiorizzazione della violenza, fenomeno legato alla brutalità della colonizzazione che ha evirato esistenzialmente i maschi spingendoli a commettere atti di violenza sulle loro donne, per rifarsi su chi è più debole. In alcuni casi, ad esempio tra alcune popolazioni native americane, l’arrivo dell’uomo bianco ha portato alla distruzione di antiche strutture di matriarcato e alla loro sostituzione con modelli socioeconomico patriarcali, ad immagine e somiglianza di quelli dei colonizzatori. Si tratta di un processo lungo, che investe diverse generazioni e che fa sì che la metamorfosi generata dalla violenza coloniale produca un habitat sociale di violenza sulle donne all’interno delle famiglie e delle tribù nel corso del tempo. In alcune regioni dell’India, a quasi cento anni dall’indipendenza, il ruolo predatore dei maschi adolescenziali o ventenni è palpabile e fenomeni di ragazze stuprate dal branco nel tragitto che separa la fermata dell’autobus alla propria abitazione non sono inusuali.

Esiste un sottile filo socioculturale tra gli stupri domestici, l’assassinio e la scomparsa dei corpi delle donne nelle riserve americane e l’attacco del branco nelle strade polverose indiane. Come si interseca la violenza italiana in questo intricato groviglio di genocidi, tragedie coloniali e perdita di identità? E’ la domanda che bisogna porsi oggi di fronte al numero elevatissimo di femminicidi e stupri, 79 i primi dall’inizio dell’anno e chissà quanti i secondi – dal momento che solo alcuni vengono denunciati. A prima vista il Bel Paese, meta ambita dai turisti durante tutto l’anno, non ha nulla a che spartire con lo squallore delle riserve del Nord America o con le bidonville indiane. Eppure, in tutti e tre questi luoghi le bambine vengono stuprate in case, le donne vengono trattate come prede sessuali e molte muoiono assassinate.

Forse la risposta va cercata nel ruolo dei due sessi e in quello che lo Stato ricopre quale simbolo della società. Vediamolo.

L’emancipazione femminile in Italia è un dato di fatto, le donne oggi sono infinitamente più libere e indipendenti che in passato, ma uscire dalla cucina dove il fascismo le aveva imprigionate quali angeli del focolare ed entrare negli uffici e nei consigli di amministrazione non è stata una transizione facile. Questo processo è partito dal basso ed è avvenuto senza il supporto dello Stato. Il femminismo è stato innanzitutto un movimento di emancipazione sociale che ha coinvolto le donne, è stato un movimento al femminile, con i maschi sempre tenuti ai margini, un movimento apolitico ed è giusto che sia stato così. La politica ne ha approfittato per rimanervi sempre estranea. E così l’Italia istituzionale, quella uscita dal fascismo, l’Italia della democrazia post bellica è rimasta fedele all’angelo del focolare e non ha fatto nulla per facilitare la transizione culturale verso l’eguaglianza tra i sessi, anzi l’ha culturalmente ostacolata riproponendo negli anni Novanta la dicotomia madre e sorella, moglie e puttana. I decenni del berlusconismo improntati alla politica-spettacolo l’hanno cementata concentrati sulla seconda, sostituendo alla puttana la figura della escort e della velina. Un fenomeno che ha mantenuto intatta la visione patriarcale made in Italy dei ruoli del femminile e del maschile. Una ferita sociale ed esistenziale, questa, profonda, una ferita che ancora oggi sanguina. E ogni goccia che ne fuoriesce corrisponde alla vita spezzata di una donna.

Lo stato italiano non ha promosso l’emancipazione della società di pari passo a quella della donna, come è accaduto in Francia, Spagna e tanti altri paesi. Questo fallimento ha prodotto due Italie, una dove vivono donne in carriera, emancipate, professioniste preparate e l’altra che ancora vede nella donna un oggetto di piacere, una bambola da strapazzare e, perché no, da uccidere quando la frustrazione maschile diventa ingestibile, specialmente quando la bambola dice di no e mette il maschio alla porta. Questa seconda Italia vede nell’emancipazione sessuale della donna non un diritto umano ma un peccato da punire con la violenza, una violenza da colonizzatore del corpo femminile, tanto, troppo simile a quella del colonialismo storico. Secondo questa logica il corpo delle donne appartiene a loro. Una devianza sociale che si infuoca giornalmente a causa dei successi delle donne in carriera, contro i quali l’uomo ignorante, che lo stato non ha educato al cambiamento, si sente esistenzialmente evirato dall’emancipazione delle donne, spiazzato, perso, inutile. Per riconnettersi con il suo essere di padrone assoluto del continente femminile, questo piccolo, insignificante e profondamente infelice uomo si rifugia nell’illusione della supremazia sessuale attraverso le sue manifestazioni più aberranti: lo stupro e il femminicidio.

E così si va a caccia della donna. Le ragazze in discoteca senza accompagnatore, quelle che bevono e tirano la coca come gli uomini, le disinibite che godono del sesso consensuale come i maschi, diventano prede da punire e sbranare allo stesso tempo. L’idea che la loro sia una provocazione, e questo si evince sia dalle dichiarazioni dei membri dei branchi ricchi, da quelle dei branchi di poveri e anche da alcuni commenti mediatici, finisce per giustificare l’atto di violenza. In discoteca ci puoi andare ma stai attenta a non bere, non vestirti mostrando le forme, rimani coperta, tieni un basso profilo. Se ti stuprano è colpa tua perché li hai provocati. Ecco l’agghiacciante giustificazione della violenza sulle donne.

A differenza delle riserve americane, in Italia il processo di modernizzazione del paese e di emancipazione dei sessi è però inarrestabile – che l’evirato maschio italiano ne prenda atto. Anche se questa marcia – ahimè – passa sui corpi delle donne, arriverà al traguardo. Non dimentichiamo che quelle che abbiamo perso sono anche figlie, madri e sorelle e il ricordo di come le loro vite sono state falciate darà forza a tulle le altre. A differenza delle donne nelle riserve americane, le donne italiane hanno conquistato grosse fette di potere, possono guidare il cambiamento e sono in grado di difendersi. E allora iniziamo a farlo!

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Riceviamo e pubblichiamo la seguente precisazione dell’ufficio stampa di Striscia la notizia

Gentile Napoleoni, abbiamo letto la sua disamina sociologica sulla violenza alle donne, tema purtroppo sempre attuale e gravissimo. Ci spiace però che sia stata per lei l’occasione per insultare e agire violenza verbale ad altre donne, ragazze che, quasi sempre ballerine professioniste, si impegnano ogni giorno in allenamenti, corsi di dizione e recitazione, facendo al meglio il loro lavoro. E che lei paragona a “puttane” (professione che, se svolta liberamente, non merita condanna). Le Veline di Striscia la notizia non sono mai state coinvolte in nessun tipo di scandalo. Pertanto, l’accostamento a escort e bungabunga è illegittimo e oltremodo offensivo per chi ha ricoperto e ricopre questo ruolo. Sì, perché quello della Velina è un ruolo. Le Veline di Striscia non usano il metodo Stanislavskij, ma sono più brechtianamente straniate e nella vita reale sono poco gne-gne, etere ed eteree. Le donne oggetto sono altrove: le consigliamo un ripasso della cinematografia degli anni 70. Ma anche solo di sfogliare una qualunque rivista di moda. Già nel 2011, per rispondere a “Il Corpo delle donne” di Lorella Zanardo, la redazione di Striscia realizzò “Il Corpo delle donne 2”, contro-documentario provocatorio che dimostrava l’uso strumentale del corpo delle donne da parte della stampa progressista (soprattutto del Gruppo Espresso) e ne provava la clamorosa ipocrisia. Qui il link. Spiace che – ora che pure Barbie è diventata un’eroina femminista (con un film che ha elevato il product placement a livello pro) – restino ancora tanti pregiudizi sulle nostre Veline.

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