Amarena non c’è più, purtroppo. Uccisa da un uomo, materialmente; un uomo che in maniera sprovveduta ha premuto il grilletto di un fucile, preso da un armadietto chiuso a chiave, caricato con proiettili situati in un altro armadietto pure chiuso a chiave. Almeno questa è la procedura di chi detiene armi per la caccia.

E quindi è stato un atto volontario, cercato e studiato; male sicuramente, viste le conseguenze che ora l’uomo dovrà subire.

Ma vorrei soffermarmi sulla campagna di odio che si è insinuata in Italia contro gli orsi e i lupi in generale, instillata da una politica incapace di creare una cultura di conoscenza, di convivenza e rispetto.

Qui in Trentino gli orsi e i lupi sono visti come un problema politico da risolvere, non da gestire; e l’attuale governo locale non ha la minima intenzione di avviare percorsi di dialogo e confronto, perseguendo solo il dogma racchiuso nel verbo ‘uccidere’. Ma in Abruzzo non è mai stato così; abbiamo sempre visto un approccio teso alla convivenza, la popolazione si è sempre dimostrata consapevole dell’interazione uomo-orso, proprio portando Amarena e i suoi cuccioli come esempio. E Amarena non ha mai manifestato intenzioni aggressive, mai ha dato luogo a finti attacchi, anzi ha sempre avuto comportamenti di pacifica coesistenza con gli umani, diventando un simbolo. Un simbolo che è stato brutalmente distrutto.

L’articolo 544-bis del codice penale, ricordiamolo, prevede la reclusione da quattro mesi a due anni per chi uccide un animale con crudeltà o senza necessità. Quindi, la domanda è ovvia: dove era la necessità di uccidere Amarena, dato che era nota la sua non pericolosità per l’uomo? Poi si scopre che l’autore è un cacciatore ed è facile fare la somma degli elementi, quasi fin troppo scontata. Fatto sta che un animale simbolo è stato ucciso, i suoi cuccioli privati della madre, da parte di un uomo che rappresenta un mondo di intolleranza purtroppo molto diffuso, soprattutto nei social.

Girando proprio nei social, troviamo gruppi che inneggiano a tale soluzione, addirittura se ne trovano alcuni che hanno avviato una raccolta fondi per “sostenere” il killer di Amarena. È questo l’aspetto più preoccupante, che va addirittura oltre l’atto violento di un uomo singolo; che si sta instaurando una cultura che vede nella violenza l’unica soluzione per la gestione degli animali selvatici, con la connivenza silente della politica nazionale o addirittura connivente nel mio Trentino. E, intanto, si uccidono le mamme orse, come fu per Daniza e KJ2, uccise deliberatamente, o come JJ4, ora tolta di mezzo e reclusa al Casteller; e ora con Amarena, orsa prolifica che non sarà più tra noi.

Una strategia di istigazione all’uso della violenza, che in persone come l’esecutore abruzzese scatena facili predisposizioni ad usare davvero il fucile; il pericolo è che la giustizia avalli tali comportamenti, pressata dalla politica che sostiene la violenza; se così sarà avremo perso tutti, perché è inutile mettere nella Costituzione al definizione di rispetto per gli animali e poi tollerare violenze simili.

E non sarebbe male che la giustizia si occupasse anche di certi gruppi social che istigano e fomentano a tali comportamenti violenti e fuori legge, o addirittura più o meno velatamente spingere al bracconaggio; perché solo fermando gli istigatori, politici e mediatici, riusciremo a creare una cultura diversa, che possa seriamente mettere in campo strategie economiche di sostegno all’agricoltura di montagna, ma anche legandole all’accettazione della biodiversità.

Finché non ci indigneremo tutti contro atti violenti come questi, non possiamo dire di essere un paese civile; barbari coloro che trovano nella violenza la sola via risolutiva. Proposte ce ne sono sul tavolo, per trovare i giusti sostegni a chi vive l’economia di montagna, ma anche per garantire il rispetto della biodiversità, accettando la presenza di orsi e lupi. Ma se si preferisce sparare, urlare e uccidere… non risolveremo mai le questioni.

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