E’ solo l’ultimo nome illustre in ordine di tempo ad essere stato tirato in ballo a sua insaputa per pubblicizzare un sito che promette investimenti in criptovalute in grado di far diventare milionaria pure la sciura Maria. E non è stato scelto a caso, perché la perversa e intelligente logica delle società che stanno dietro a queste operazioni finanziarie altamente pericolose e sconsigliate dalle autorità che regolamentano le Borse tende ad usare in maniera illegale e fraudolenta personaggi pubblici al culmine della loro popolarità e visibilità, sfruttando le piattaforme social come Facebook.

La vittima questa volta è Myrta Merlino, nota giornalista e conduttrice per ben 12 anni della trasmissione “L’aria che tira” su La 7, da poco approdata a Mediaset, dove a partire dal 4 settembre sarà al timone della nuova edizione di “Pomeriggio 5”. Di lei, della sua carriera e della sua vita privata si è molto parlato soprattutto in relazione alla svolta che Piersilvio Berlusconi ha deciso di dare ad alcuni programmi del Biscione e inevitabilmente, come spesso accade, per tutta l’estate, subito dopo la pubblicazione dei palinsesti televisivi, il suo volto sorridente e rassicurante è apparso più che mai su siti e social network.

Myrta Merlino, va specificato, a differenza di altri suoi colleghi che in Italia e nel mondo sono stati usati come specchietto per allodole per far abboccare gli utenti, ha il valore aggiunto di essere una reale esperta di economia, avendo lavorato fin da giovanissima nel Consiglio dei Ministri della Comunità Economica Europea, avendo collaborato con varie testate giornalistiche ed emittenti televisive su temi di economia, avendo pubblicato diversi libri ed essendo stata responsabile economica di Rai 3. Inoltre, nel caso della Merlino, l’aggravante per chi ha montato queste fake news è stata quella di far credere agli utenti di Facebook che la giornalista avesse consigliato agli spettatori della trasmissione “Domenica In”, davanti ad un’incredula Mara Venier, di poter moltiplicare in modo esponenziale i propri risparmi investendo in una piattaforma di bitcoin, il tutto riportato tra virgolette con link al sito – che non aspettava altro che rubare dati sensibili ai malcapitati nella migliore delle ipotesi o spennarli fino all’ultimo centesimo nella peggiore.

Oltre alla truffa costituita dall’opera di convincimento di affidare i propri soldi a questi robot chiamati “bitcoin code”, “bitcoin future” e via discorrendo, c’è il crimine dello sfruttamento di nomi illustri che non hanno mai dato il proprio consenso; e la falsa notizia che reti televisive come Rai o Mediaset abbiano avallato tali operazioni. Ma qual è il trucco per rendere più accattivanti queste truffe e perché così tante persone ci sono cascate perdendo migliaia di euro? Basta inserirle a pagamento su piattaforme social come Facebook o su siti internet che nell’impaginazione o nel nome leggermente modificato richiamano homepage di illustri quotidiani online regolarmente registrati come, solo per fare qualche esempio, ilfattoquotidaino.it oppure tgcom247.com.

Qual è lo strumento per tutelarsi da questi truffatori? Purtroppo esposti e denunce non sempre sortiscono il loro effetto, perché anche quando questi siti vengono oscurati, dopo breve tempo ne spuntano altri e spesso usano nuovamente il nome del personaggio pubblico che ha sporto querela. In alcuni casi la Procura ha dovuto archiviare perché investire in bitcoin, per quanto rischioso e altamente sconsigliato, non è in sé un’operazione illegale. L’unico modo per non allentare la morsa nella lotta a queste speculazioni è senz’altro quello di puntare su un altro tipo di reato, così come sta facendo lo studio legale a cui si appoggia Mediaset: l’utilizzo del nome di un personaggio illustre senza che questi abbia dato il suo consenso e la creazione di false interviste e falsi virgolettati, proprio come nel caso occorso a Myrta Merlino.

Se poi si pensa che una di queste società con sede in California ha speso 50 milioni di dollari dal 2016 al 2019 per mettere i propri annunci su Facebook, forse varrebbe la pena di interrogarsi anche sul ruolo che i social network hanno nella diffusione di queste trappole micidiali.

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