Al centro dell’inquadratura c’è il faccione di un solo uomo. Mentre i lunghi capelli ondeggiano come una nuvola sulla sua testa, un urlo gli spalanca la bocca e gli sgrana gli occhi. “Dagli vita!” grida. “Dagli vita, hai capito? Dai vita alla mia creatura!”. È una delle sequenze più iconiche di Frankenstein Junior, il capolavoro di Mel Brooks diventato un cult in Italia anche grazie al doppiaggio di Oreste Lionello. Ma è anche una scena che racconta piuttosto bene la Roma di questa stagione. Sì, perché la squadra di Mourinho assomiglia molto a una specie di Frankenstein, una creatura portata alla vita dopo aver assemblato scarti di altri club, parametri zero, occasioni di mercato, prestiti onerosi (ma soprattutto gratuiti). Eppure, nonostante il misero punticino messo in classifica nelle prime due giornate, i capitolini restano uno degli esperimenti più interessanti di questa stagione. Soprattutto ora che il mercato ha portato in dote Romelu Lukaku, il centravanti che si era negato al telefono all’Inter per sposare la Signora senza però riuscire a convolare a nozze.

L’arrivo del belga nella capitale è una mossa perfetta. Per il giocatore, che dopo il voltafaccia estivo (e il suo “no” ai petrodollari arabi) si era trovato solo e isolato, costretto ad allenarsi con la squadra riserve del Chelsea in attesa di una pretendente intenzionata a spendere per il suo cartellino. Per i blues, che dopo averlo messo fuori rosa continuavano a pagarlo 115mila euro al giorno. Per la Roma, che dopo aver trattato Scamacca, Morata, Marcos Leonardo, Muriel e Zapata (lista calcolata per difetto) aveva bisogno di un colpo a effetto per non perdere la faccia e rianimare i tifosi dopo un’estate apatica.

Ma l’arrivo del belga a Roma è anche fortemente simbolico. E non solo perché i giallorossi sono riusciti davvero a formare quella coppia Lukaku-Dybala che lo scorso anno era nei sogni di Beppe Marotta. Lo sbarco nella capitale dell’ex attaccante del Chelsea si porta dietro l’idea di poter sovvertire sul serio le gerarchie. Perché Lukaku è ancora un giocatore in grado di fare la differenza. Soprattutto in un campionato sempre più arido come quello italiano. Il belga porta in dote a Mourinho quello che era mancato alla Roma in questo ultimo anno: la verticalità, la possibilità di attaccare in campo aperto, i muscoli, i gol pesanti, quelli realizzati dal “9” (nello scorso campionato Abraham ha segnato appena 8 reti, Belotti zero). Tanto che in molti hanno cominciato a raccontare di un Mourinho condannato a vincere. La realtà sembra essere diversa.

Dopo un’estate passata ad allenarsi con le riserve, Lukaku avrà bisogno di tempo per entrare in condizione, per diventare letale. È un problema personale che si innesta su un problema diffuso. Perché molti giallorossi sembrano essere lontani dalla forma migliore. È un discorso che vale tanto per i senatori di Mourinho (Rui Patricio è poco reattivo, Smalling soffre terribilmente quando viene puntato in diagonale, Spinazzola è ancora alla ricerca della sua reale dimensione) quanto per i nuovi acquisti. Ndicka, come ha detto lo stesso Mourinho, deve ancora “lavorare molto”. Kristensen è impalpabile. Renato Sanches, l’unico che garantisce cambio di passo alla mediana, dopo 25 minuti giocati è già alle prese con i problemi fisici che hanno minato la sua carriera. Azmoun, preso per sostituire l’oggetto misterioso Solbakken, è arrivato rotto. Leandro Paredes, il mediano dalla verticalizzazione improvvisa che ha scelto la 16 che fu di De Rossi, è ancora lento e imballato, lontano dalla forma migliore.

Tanto che l’unico “nuovo” ad aver convinto fin qui è Aouar, protagonista di una buona prestazione contro la Salernitana e autore del gol, inutile, contro il Verona. Paradossalmente il giocatore più in forma di questa Roma è proprio il Gallo Belotti, autore di una doppietta all’esordio e di una buona partita sabato sera, ossia l’uomo destinato a lasciare la maglia da titolare a Lukaku. Eppure non è tutto da buttare. Assolutamente. I giallorossi hanno bisogno di una risorsa che nel calcio è importante almeno quanto i soldi: il tempo. È il prezzo da pagare per aver portato avanti un mercato a impatto zero, una campagna acquisti che ha cucito insieme occasioni ed esuberi altrui riuscendo comunque a creare una squadra competitiva e un collettivo che vale molto più di quanto raccolto in questo avvio orroroso.

Mourinho deve recuperare i suoi giocatori, deve mettere minuti nelle loro gambe, deve amalgamarli, deve farli coesistere, deve trovare un’idea da rincorrere. Una sfida neanche troppo difficile per uno che ha dichiarato di venire subito dopo Dio e che ora può contare su un attaccante forse sovradimensionato rispetto al livello della Serie A. Certo, alcuni problemi “storici” sono rimasti insoluti. Dopo Olsen e Pau Lopez, i giallorossi sembravano aver trovato un estremo difensore affidabile in Rui Patricio. Il portoghese è stato fondamentale nella notte di Tirana, quando la Roma ha vinto la Conference League contro il Feyenoord. Poi, però, il suo rendimento è calato vistosamente (4 tiri in porta e 4 gol subiti, fra cui uno a causa di una sua evidente papera, nei primi 180 minuti stagionali). Discorso simile sulla destra, dove i giallorossi hanno preso Celik e Kristensen per sostituire Karsdorp salvo poi accorgersi che il giocatore più affidabile su quella corsia è proprio Karsdorp. A sinistra Zalewski, calciatore offensivo trasformato in esterno a tutta fascia, rischia di fare la stessa fine di Florenzi: uno dal grande talento di cui nessuno, però, ha capito fino in fondo dove schierarlo.

Tutte situazioni che per essere corrette avevano bisogno di investimenti importanti e che sono passati forse in secondo piano. Senza contare che la Roma, la squadra che lo scorso anno ha centrato più legni in campionato, ha già colpito un palo e due traverse. Ora l’arrivo di Lukaku sembra aver soffiato via molte paure. L’entusiasmo è alle stelle, la sicurezza di poter crescere esponenzialmente è granitica. E forse non c’è cura migliore per i problemi che hanno afflitto i giallorossi nelle prime due partite. Roma e la Roma sono convinte di potere arrivare al lieto fine. Proprio come in Frankenstein Junior.

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