di Sara Gandini e Paolo Bartolini

Due recenti pubblicazioni scientifiche (qui e qui) sull’importante rivista JAMA oncology hanno analizzato l’efficienza dell’intelligenza artificiale in ambito medico. I modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) alla base dei chatbot possono imitare il linguaggio umano e restituire rapidamente risposte dettagliate e coerenti.

I ricercatori hanno valutato le prestazioni di un chatbot per fornire raccomandazioni sul trattamento del cancro al seno, alla prostata e ai polmoni in accordo con le linee guida del National Comprehensive Cancer Network (NCCN). Si è visto che le risposte erano inventate, cioè non facevano parte di alcun trattamento raccomandato, nel 12,5% dei casi. Un terzo dei trattamenti raccomandati dal chatbot non era in accordo con le linee guida NCCN. Visto che è probabile che i pazienti utilizzino queste tecnologie per la loro autoformazione (e non di rado gli stessi medici), ci troviamo di fronte a un problema, perché questa attività può influire sul processo decisionale condiviso e sul rapporto paziente-medico.

In generale i risultati di questi studi suggeriscono che i chatbot e l’intelligenza artificiale (IA) sono una risorsa supplementare accurata e affidabile per le informazioni mediche, ma sono limitati nella loro leggibilità e non dovrebbero sostituire gli operatori sanitari per le domande di assistenza sanitaria personalizzate.

Se si guardano le pubblicazioni in ambito medico con tematiche sull’intelligenza artificiale si vede un trend esponenziale, con una esplosione negli ultimi anni. Viene da chiedere da dove viene tanto interesse in una materia come la medicina in cui la componente umana e relazionale dovrebbe essere preponderante. Ma è semplice: perché gli investimenti economici vanno in larga parte in questa direzione e non per il personale. L’IA è e sarà il primo obiettivo d’investimento per direttori di ospedali, di centri medici privati, poliambulatori e centri di medicina d’urgenza. Il sistema sanitario è in enorme crisi e la pandemia ha peggiorato la situazione e si spera che l’IA riduca i costi.

C’è stato un eccesso di risorse pubbliche che avrebbe potuto rafforzare i sistemi sanitari pubblici e che invece sono stati indirizzati alle aziende farmaceutiche. Gli elevatissimi extraprofitti realizzati dalle imprese farmaceutiche, che per alcune di esse hanno raggiunto decine di miliardi di euro, non sono in alcun modo giustificati dal rischio di mercato da loro assunto. “Una distorsione che rischia di aggravarsi ulteriormente visto che Moderna e Pfizer hanno annunciato di volere quintuplicare il prezzo a dose portandolo a circa 100 dollari dagli attuali 20, e che l’immunizzazione dura solo pochi mesi” commentano anche dal “Forum Disuguaglianze e Diversità”. Infatti il rischio finanziario più grande è stato sostenuto dagli Stati e non dalle case farmaceutiche. I primi hanno sborsato 30 miliardi; le seconde 16. Non solo: nonostante gli enormi investimenti, i governi hanno contato poco sulle decisioni economiche fondamentali, e cioè sui prezzi e sulla distribuzione, rispetto alle aziende che hanno prodotto i vaccini.

Uno degli aspetti della pandemia infatti su cui si è discusso troppo poco sono i profitti delle aziende farmaceutiche produttrici di vaccini anti Covid. La discussione si è polarizzata, anche grazie ad una comunicazione esasperata, tra chi li presentava come la cavalleria che ci veniva a salvare, per cui li avrebbe imposti anche ai bambini di due anni, e chi li vedeva come il male assoluto, tuttora causa di ogni decesso che leggiamo sui giornali.

Forse non è un caso che i media mainstream abbiano alimentato tanto quella polarizzazione, mentre veniva cancellata ogni discussione su come affrontare la crisi di un sistema sanitario nazionale che era già in grave difficoltà e di come le scelte della gestione della pandemia abbiano peggiorato la situazione complessiva. Le aziende sono ingorde, e lo Stato lascia fare, con la complicità dei giornalisti.

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