Le dichiarazioni del ministro dell’economia Giorgetti al meeting di Rimini di qualche giorno fa lasciano presagire che oltre all’estate anche l’autunno sarà parecchio caldo, e non dal punto di vista climatico ma da quello politico, con molti modi che si stanno aggrovigliando intorno al pettine del centrodestra di governo.

Il Ministro Giorgetti in tutta sincerità ha già calato la maschera ammettendo che la legge di bilancio per il 2024 si muoverà lungo un sentiero reso stretto dal nodo delle risorse. C’è poco tempo e al di là della propaganda che viaggia sulle reti di stato con bugie (o gaffe) macroscopiche più che macroeconomiche – come quella sulle fantomatiche crescite di Pil al sud Italia 4 volte superiore alla Germania e alla Francia – i problemi si moltiplicano.

Nell’estate dello scontrino-gate, dei conti non pagati dai patrioti italiani in Albania e delle parmigiane vietate in spiaggia, l’Italia continua ad aumentare il suo debito pubblico. Solamente a giugno è aumentato di 27 miliardi di euro, portando il debito di ogni singolo italiano, neonati inclusi, a 50.000 euro cada uno. Un “regalo” alle future generazioni che il consiglio nazionale dei giovani, insieme ad EURES, ha stimato in un rischio di un ritiro dal lavoro per i più giovani a 74 anni con un assegno di poco superiore ai 1000 euro. In poche parole la morte cerebrale di un paese.

Con le sue dichiarazioni, Giorgetti ha messo le mani avanti. Il ministro leghista – come d’altronde la stessa premier Meloni – sa benissimo che lo scenario è quello di una manovra tra i 25-30 miliardi per ottobre. Una mini finanziaria che mette a nudo i veri dati reali sull’economia nazionale che erano stati decantati in mesi di fiera ma mera propaganda.

Non a caso sia Giancarlo Giorgetti che il suo collega Raffaele Fitto spingono in Ue per una moratoria affinché venga sospeso il nuovo Patto di stabilità e le sue stringenti regole su deficit e debito. O che almeno si storni la spesa per investimenti, così da alleggerirne il peso.

E sì, il patto di stabilità sospeso durante la crisi Covid è in fase di negoziazione per essere modificato, ma in mancanza di accordi rischia di tornare con il nuovo anno così com’era. Una spada di Damocle sul governo, pesante come l’annosa decisione sull’accettazione del Mes, tutti temi che arrivano a scadenza e che chiedono risposte da una politica italiana che in questi lustri si è sempre mostrata invincibile nell’arte di rinviare qualsiasi decisione e lasciare la barca andare dove la corrente vuole che vada (vedi concessioni balneari).

Le tante promesse come flat tax, abolizione della legge Fornero, pace fiscale, abolizione accise, assunzioni di massa e via dicendo non sono più obiettivi di breve termine ma di legislatura, o di vita, o di secolo, o obiettivi senza termine e strategia, buoni per imbonire pletore di creduloni.

Siamo vicini al primo giro di boa del governo Meloni, previsto per ottobre, e la maggioranza di centrodestra ci arriverà con i nervi a fior di pelle. Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono capaci di dire e fare tutto e il contrario di tutto, pur di compiacere il proprio elettorato e mantenere salda la loro leadership politica. Costi quel che costi. Un primo round della sfida populista tra Meloni e Salvini è già andata in scena in pieno agosto con il decreto sugli extraprofitti delle banche, che ha causato un tonfo in borsa a danno dei risparmiatori italiani e lasciato senza parole le stesse banche, a partire dalla Banca Centrale Europea. Si farà o non si farà non è dato sapere, viste le numerose smentite e rettifiche in seno al governo.

Questo modo di governare caotico, privo di visione e strategia non sarà indolore per gli italiani, e porterà quasi sicuramente tagli alla spesa e ai servizi pubblici, a partire da sanità e istruzione.

Ad oggi la Germania è già in recessione e la Cina minaccia di rallentare l’economia mondiale. Sperare in una crescita superiore all’1% per il prossimo anno, in linea con le previsioni per il 2023, appare una chimera. Il Fondo Monetario Internazionale ha dato come ricetta, sottoscritta anche dall’Ue, di gestire la macchina amministrativa spendendo meno di quello che si incassa.

Se il governo non cambia passo o non si cambia proprio il governo, l’Italia continuerà ad essere sempre più un Paese dove non si fanno figli, non si investe e dove servizi e condizioni di lavoro saranno sempre peggiori.

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