Le banche centrali sono un tema tabù, quasi nessuno ha il coraggio di parlarne seriamente e con il corretto approccio economico-politico, senza ricorrere ai facili slogan propagandistici, marca del governo Meloni, i cui ministri se la prendono con Christine Lagarde quando la Bce aumenta i tassi. La grandissima maggioranza dei cittadini/elettori percepisce la materia come ostica, poco praticabile, sui social vuoto pneumatico, e la conseguenza è che i banchieri centrali continuano a esercitare il loro immenso potere, simil autocratico, quasi anticostituzionale.

Una felice eccezione al trend di acquiescenza generale e menefreghismo sui temi monetari è un nuovo libro scritto da Enrico Grazzini: Il fallimento della moneta (Fazi Editore). Con argomenti molto convincenti, l’autore si pone alla testa del drappello dei pochissimi (scusate se mi ci metto, dal mio “I padroni del mondo” in poi) che hanno l’ardore e la sfrontatezza di criticare la presunta “indipendenza” delle banche centrali.

Si parte dalla constatazione che Federal Reserve e Banca Centrale Europea, le più potenti del capitalismo occidentale, nonostante la loro fondamentale importanza e influenza sul sistema economico, non sono neppure previste dalle Costituzioni nazionali. Già, eppure la loro politica monetaria può contribuire a sviluppare l’economia o al contrario a raffreddarla o addirittura a soffocarla. Il loro potere è enorme per un motivo: hanno il monopolio dell’emissione della moneta legale. Peccato che lo Stato democratico e sovrano cedendo questo potere a una banca pseudo “indipendente” si fidi di un organismo completamente extra costituzionale. Non a caso i critici dell’indipendenza della Federal Reserve sottolineano che la Costituzione degli Stati Uniti non fa alcun riferimento a una banca centrale.

Anche la Costituzione italiana non prevede la banca centrale, mentre statuisce in modo generico che “Lo Stato ha legislazione esclusiva sulla moneta” anche se “nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” (art. 117). A maggiore ragione questo ragionamento vale per la Bce, un organismo previsto da trattati intergovernativi, non eletto e che – dal momento che gli azionisti sono le 19 banche centrali dell’Eurosistema – non riporta e non subisce controlli di un governo nazionale, e men che mai del Parlamento Europeo o della Commissione.

Questa situazione – scrive Grazzini – non rappresenta un “deficit democratico”, è ben di più di un deficit: è un grave vulnus alla democrazia. Il banchiere centrale ha acquisito un potere quasi monarchico senza che ci sia nessun vero contropotere di riequilibrio e di controllo. Un’autorità immensa scoordinata dal sistema liberale di check and balances che caratterizza, o dovrebbe caratterizzare, le moderne democrazie.

Vogliamo poi ricordare che negli anni recenti le politiche monetaria di Fed e Bce sono state sempre più inefficaci, se non fallimentari? Dopo la Grande Crisi Finanziaria del 2008 non sono riuscite a combattere le tendenze deflazionistiche, nonostante la “droga monetaria” elargita a suon di trilioni di dollari e euro “stampati” dal nulla a tassi zero. In seguito, da quando è scoppiata l’inflazione, proprio per il folle eccesso di alleggerimento monetario, dopo la crisi del Covid e l’invasione russa dell’Ucraina, le banche centrali sono state incapaci di frenare il furioso e prevedibile aumento dei prezzi, l’inflazione così è schizzata ai massimi di 40 anni fino al 10 per cento e oltre (per i prodotti alimentari ancora oggi è al 10%).

Con “Il fallimento della moneta” Grazzini propone che siano la società civile e le sue organizzazioni a gestire il sistema monetario. Il problema di fondo è che finora la società civile e le parti economiche sono state tagliate fuori dal processo di creazione della moneta, per cui il sistema monetario è rimasto da decenni un “affare privato” tra banche centrali e sistema bancario (la moneta, come è noto, è creata dal nulla dalle banche commerciali quando concedono nuovi crediti a privati, famiglie e imprese; infatti il 97 per cento della moneta circolante è elettronica).

Il debito è di conseguenza la prima causa delle crisi economiche e finanziarie che a cicli alterni devastano l’ordine capitalistico (boom and burst, prosperità e depressione) soprattutto perché spinge le banche – competizione spasmodica e ricerca del massimo profitto – a finanziare soprattutto attività immobiliari e finanziarie che permettono soldi facili e subito. Bolle che inevitabilmente poi scoppiano. Da qui la creazione di enormi quantità di moneta-scommessa, di “capitale fittizio”, con la conseguente creazione di mercati speculativi fondati sul debito che mandano in rovina l’economia reale (i derivati, le criptovalute, i CDS, gli swaps, eccetera) con nessun riguardo per l’occupazione, la creazione di nuovi posti di lavoro, le nuove opportunità di sviluppo.

Sull’altro piatto della bilancia c’è l’aumento esponenziale delle diseguaglianze sociali e la concentrazione della ricchezza nelle mani dell’1 per cento dei grandi ricchi, lo strapotere di mega aziende oligopolistiche e delle multinazionali globali.

Non accadrebbe nulla di tutto ciò, scrive Grazzini nel suo bel libro, se gli Stati emettessero una moneta pubblica libera dal debito. La proposta di questo saggio è – diciamolo – clamorosamente utopistica e Lagarde si guarderà bene dal seguirne i consigli. Ma prenderà nota, perché è utile a dar fiato a un serio dibattito impostato su una radicale critica delle banche centrali. La guida di Fed e Bce non dovrebbe essere affidata né allo Stato centralizzatore e burocratico, né ai mercati né ai tecnocrati, ma alle parti economiche e sociali direttamente interessate al bene comune della moneta, cioè alle associazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori. Il sistema monetario è un “bene comune” che la società civile deve gestire democraticamente, e questo dovrebbe essere sancito in Costituzione: non si può delegare tale spropositato potere a un manipolo di persone che non rispondono a nessuno.

Infine le banche centrali dovrebbero aprirsi al pubblico sfruttando l’opportunità legata all’avvento delle monete digitali, le Central Bank Digital Currencies. Così la moneta digitale potrebbe arrivare direttamente sui conti bancari di famiglie, imprese e enti pubblici, in modo più semplice e trasparente. Progetto come ovvio combattuto dal sistema bancario privato. Eppure, se una moneta pubblica assumesse il ruolo che merita, eviteremo future crisi finanziarie sistemiche. La funzione monetaria verrebbe separata dalla funzione creditizia. Le banche private non potrebbero più creare moneta a loro piacimento (troppo credito nelle fasi di boom, troppo poco durante i periodi di crisi) ma funzionerebbero da intermediarie indispensabili tra risparmio e investimenti.

Inoltre gli Stati potrebbero finanziare in maniera più diretta e trasparente i beni comuni indispensabili per la società (infrastrutture di base, trasporto, sanità, istruzione, sicurezza, ricerca) e recupererebbero quella sovranità monetaria oggi traslocata in toto ai mercati finanziari, per loro natura volatili e speculativi. Non sarebbe un ottimo sistema per combattere e correggere le peggiori e più dannose degenerazioni del capitalismo malato di iperliberismo?

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