La grande sconfitta del governo Meloni sul fronte dei migranti non sta nei numeri (oltre centomila arrivi, più del doppio rispetto allo scorso anno, più del triplo di tre anni fa): le statistiche sarebbero state travolgenti per qualunque esecutivo, di destra o di sinistra.

La sua vera sconfitta è nello sgretolamento delle parole d’ordine (e delle bugie) che portarono i partiti del centrodestra alla conquista della maggioranza e nella inconsistente strategia diplomatica nei confronti della Libia e della Tunisia.

L’armamentario dei porti chiusi, del blocco navale, del “pull factor” è ormai riposto in cantina e Salvini – l’alfiere delle frontiere – da mesi tace ormai sull’argomento.

I Paesi d’oltremare, blanditi con lucrosi flussi finanziari e moderne motovedette, manovrano abilmente i rubinetti delle partenze alzando al solito la posta delle richieste che ltalia ed Europa accolgono senza alcun riguardo ai modi criminali di quei governi contro popolazione e migranti. Le Ong, accusate prima di contiguità con la tratta dei migranti e vessate ancor oggi con l’assegnazione di improbabili porti di sbarco, sono ormai chiamate a sostenere lo sforzo della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza nei salvataggi.

Chiuso il rubinetto delle informazioni alla stampa (le Capitanerie di porto da un pezzo hanno smesso di esibire con orgoglio le missioni nel Canale di Sicilia), il tentativo del governo è quello di smorzare i toni dell’allarme, riducendo l’emergenza a routine. Così, sfugge all’opinione pubblica quale sforzo enorme le istituzioni locali stiano sopportando con una disponibilità di mezzi non del tutto diversa da quella del passato, e sfugge lo stress fisico e psicologico degli equipaggi in mare e delle forze dell’ordine, chiamati ad affrontare un impegno con pochi precedenti.

In attesa che si stabiliscano, sotto l’egida degli organismi internazionali, efficienti corridoi umanitari, occorre adeguare la risposta, senza infingimenti e silenzi, alla portata epocale di questa emergenza. Sono necessari unità di altura e l’impegno coordinato di forze navali; il pieno coinvolgimento dei volontari, senza i vessatori trasferimenti nei porti settentrionali che li allontanano dal teatro dei soccorsi; una forte logistica dei porti del Sud e un generoso supporto di servizi alle comunità coinvolte.

L’auspicata campagna europea di soccorsi dovrebbe poi avere carattere strutturale e non temporaneo (come accadde per Mare Nostrum), essere attentamente misurata nei costi e nelle strategie, ben coordinata con i servizi di informazione. Soprattutto, essa dovrebbe conformarsi, rafforzandolo, al sistema SAR previsto dalla convenzione di Amburgo, che affida ai Centri nazionali delle autorità marittime le competenze del soccorso in mare.

Il loro passaggio alle funzioni del ministro dell’Interno, con la sottomissione dei salvataggi alla dottrina delle frontiere e alle ragioni dell’ordine pubblico, ha già prodotto il naufragio di Cutro e chissà a quali altre omissioni e storture potrebbe portare.

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