Mi raccontava anni fa Stefano De Sando, oggi voce italiana ufficiale di Robert De Niro: «Niente mi ha mai mai spaventato come dover sostituire la voce di Ferruccio Amendola. Non puoi distrarti, basta un errore su un’espressione e sei fritto». E la recitazione di De Niro è fondata sulle espressioni, è essa stessa un’espressione.

Salvo Casinò dove stranamente la voce gliela dà Gigi Proietti e Mission con una prova anticipata di anni da parte di De Sando (che pure a De Niro somiglia un po’…), più qualche altra rarissima eccezione, il grande Amendola, fino alla sua morte nel 2001, è stato De Niro, che oggi entra ufficialmente nel club degli ottantenni.

Incredibile ma vero, l’attore ha abitato per anni molto vicino alla casa di Scorsese, il regista che farà di lui un divo e uno dei suoi attori-feticcio: abitavano, i due, a pochi isolati di distanza, nella zona del Greenwich Village di Manhattan e a Little Italy dove De Niro era soprannominato Bobby Milk per via del suo colorito bianco come il latte. Vennero presentati l’un l’altro solo a una festa nel ’72 (De Niro aveva 29 anni e Scorsese 30). Si conoscevano di vista, certo, ma non si erano mai parlati. E fu una fortuna quel party: la coppia De Niro e Scorsese è stata uno dei sodalizi più efficaci della storia del cinema.

Grande amico di John Belushi, De Niro fu uno degli ultimi a vederlo vivo (si erano incontrati a un party dove c’era anche Robin Williams): erano le 3 del mattino del 5 marzo 1982, poco prima prima che uno speedbull di cocaina ed eroina uccidesse Belushi. De Niro era già famoso, lo stesso anno aveva girato, con Scorsese, il meraviglioso Re per una notte, ma il trauma della morte dell’amico John se lo trascinerà per sempre. Otto anni prima era uscito Il Padrino di Coppola che aveva impegnato moltissimo De Niro: aveva trascorso quattro mesi ad imparare il dialetto siciliano (i nonni paterni erano sì italiani, ma di Ferrazzano, nel Molise). Venne premiato con l’Oscar come Marlon Brando e i due sono i soli attori che hanno ricevuto un Academy Award per l’interpretazione dello stesso personaggio.

L’infanzia di Robert non è stata semplicissima: la madre, Virginia Admiral, era una poetessa con alle spalle un mix di origini europee; il padre, di origini italo-irlandesi, si chiamava Robert come il figlio ed era un pittore espressionista astratto. I suoi genitori si separarono dopo il coming out del padre sulla propria omosessualità.

A soli 10 anni Robert comincia la sua carriera d’attore quando interpreta il leone codardo in una produzione locale de Il mago di Oz, ma, dopo aver abbandonato le scuole superiori, si unirà a una banda di strada. Fra l’altro, per restare in tema di incontri fatali, è De Niro a presentare a Scorsese Leo DiCaprio che conosce nel ’93 durante la lavorazione di Voglia di ricominciare di Michael Caton-Jones, un film che ricalca alla lontana, per certi versi, Alice non abita più qui di Scorsese, utilizzando però come protagonista Ellen Barkin. Nasce così un altro divo: Leo Di Caprio-pre Titanic, che ha 19 anni e interpreta il figlio della Barkin tiranneggiato da De Niro.

Spesso accusato di tirchieria come Alberto Sordi (accuse infondate?), De Niro viene comunque soprannominato da molti tassisti di Los Angeles ‘no-dinero’, vista la scarsità di mance offerte. Indubbia la sua eccezionale bravura, anche se una parte della critica considera la sua recitazione a tratti troppo istrionica. Ma tant’è, nell’elenco dei 1001 ‘film da vedere prima di morire’ redatto da Steven Jay Schneider, De Niro è l’attore più gettonato: ha in lista 14 film fra cui ben 6 di Scorsese: Mean Streets (’73) di Scorsese; Il padrino – Parte II (’74) di Coppola; Taxi Driver di Scorsese e Novecento di Bertolucci (’76); Il cacciatore di Cimino (’78); Toro scatenato di Scorsese (’80) dove si immedesima così tanto in Jack La Motta da rompere, sia pur accidentalmente, una costola allo sparring-partner Joe Pesci; Re per una notte di Scorsese (’82) con la straordinaria partecipazione di Jerry Lewis nei panni di se stesso tormentato dal comico fallito Pupkin (De Niro); C’era una volta in America di Leone (’84) con una colonna sonora di Morricone fra le più straordinarie della storia del cinema; Brazil (’85, di Gilliam, dove De Niro avrebbe voluto la parte di Jack Lint affidata invece a Michael Palin); Gli intoccabili (’87) di De Palma, in cui De Niro, che gigioneggia forse più che in qualsiasi altro suo film, è un pittoresco Al Capone; Quei bravi ragazzi (’90) di Scorsese, dove l’Oscar lo conquista, però, come attore non protagonista, Joe Pesci; Casinò (’95), di Scorsese, accanto a una splendida Sharon Stone; Heat – La sfida di Mann (’95) che segna l’incontro fra i due mostri sacri, Pacino e De Niro, nello stesso film (nel Padrino parte II non avevano mai una scena insieme), qui invece c’è un simbolico scontro fra titani con un campo-controcampo mentre i due sono a tavola uno di fronte all’altro… ; Ti presento i miei (2000) di Roach dove ritroviamo, con due sequel, un tardo De Niro in stile commedia che certo – a parer mio – non offre il suo meglio.

Per quanto mi riguarda, i sublimi livelli de Il Cacciatore e di Taxi Driver sono irraggiungibili, anche se De Niro ha dichiarato: “Alcune persone dicono che il dramma è facile e la commedia è difficile. Non è vero. Ho girato commedie negli ultimi due anni ed è bello. Quando fai un dramma, passi tutto il giorno a picchiare a morte un ragazzo con un martello, o quello che hai. Oppure devi dare un morso alla faccia di qualcuno. D’altra parte, con una commedia, sgridi Billy Crystal per un’ora e torni a casa”.

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