L’ex deputato e giornalista Fernando Villavicencio è stato ucciso da una pioggia di proiettili il 9 agosto mentre si trovava nella sua auto. Il video della sua esecuzione, avvenuta pochi istanti dopo un comizio elettorale a Quito (la capitale dell’Ecuador), ha fatto il giro del mondo inondando le bacheche di tutti i mezzi di comunicazione e non solo: ovviamente anche in Italia.

La differenza però è che, in Italia, di Villavicencio (candidato alla prossime elezioni in Ecuador del 20 agosto) così come di quello che succede nel paese sudamericano si parla poco o niente. E così la morte di quest’uomo, classe 1963 e originario del “pueblo magico” di Alausí (provincia del Chimborazo), ci arriva come un curioso fatto di cronaca da commentare “sotto l’ombrellone” e non come la conseguenza di un deterioramento dello Stato di diritto in Ecuador, deterioramento che dura da diversi anni e che ha portato per esempio all’approvazione di una legge che autorizza la detenzione e il porto di armi per uso civile, proprio ad aprile scorso.

Una norma che legalizza e normalizza l’uso di armi da parte della popolazione, approvata in fretta e furia dall’uscente presidente Guillermo Lasso in risposta alla violenza generalizzata nel quale è piombato il paese, soprattutto la provincia della costa del Pacifico del Guayas, dove solo nella capitale Guayaquil e dintorni si erano registrati 555 omicidi nel primo trimestre del 2023.

Una situazione di estrema violenza che però non si limita a Guayaquil (dove a novembre 2022 ci sono stati anche attentati con autobombe) ma si è diffusa come un cancro in tutto il paese. Domenica 23 luglio, per esempio, è stato ucciso il sindaco della cittadina di Manta (Provincia de Manabí), Agustín Intriago, in un attentato che si pensa sia legato ancora una volta agli interessi della bande criminali che si stanno disputando le rotte del narcotraffico. Sì, perché l’Ecuador è diventato da anni il centro della disputa dei cartelli della droga (soprattutto quelli messicani di Sinaloa e Jalisco Nueva Generación) che si contendono il grande porto di Guayaquil, oltre alle permeabili frontiere amazzoniche con la Colombia e il Perù. Una guerra per procura, portata avanti dalla fazioni locali affiliate ai cartelli, che ha visto nelle carceri gli scenari prediletti, con orribili massacri avvenuti soprattutto negli ultimi due anni, costati la vita a centinaia di detenuti.

Un attacco duro, profondo e con gravi conseguenze alla convivenza civile nel paese sudamericano che ha portato ad una forte instabilità e ad un nuovo grande esodo migratorio: sono decine di migliaia infatti gli ecuadoriani che attraversano il corridoio del Darién per provare ad arrivare negli Usa in questo 2023.

Che dire poi delle violenza sofferte dalle popolazioni indigene, dove è importante segnalare il tributo di sangue che i popoli nativi continuano a pagare per la difesa della natura. Tra tutti spicca il caso di Eduardo Mendúa Vargas (40 anni), leader del popolo indigeno Kofán e membro di rilievo della CONAIE – Confederazione delle organizzazioni indigene dell’Ecuador – giustiziato il 26 febbraio a casa sua nella provincia di Sucumbios.

A questo si aggiunge uno scenario di precarietà lavorativa ed economica, sofferta in modo maggiore dalle fasce più vulnerabili (come per esempio la popolazione afrodiscendente) ma in generale dalla maggioranza della popolazione che ha visto diminuire in modo netto e drammatico il suo potere d’acquisto. L’Ecuador è un paese dollarizzato (in Ecuador la moneta ufficiale è il dollaro dal 2000), fortemente dipendente dalle esportazioni di materie prime (petrolio su tutti) e con un tasso di povertà a giugno 2023 che arrivava al 27% (secondo le stime del governo, quindi molto ottimistiche). A questo si aggiunge la lunga coda del Covid-19 che ha generato ancora più disuguaglianza e abbandono da parte dello stato di zone rurali e di difficile accesso.

Una crisi multilivello, che si protrae dagli anni della presidenza di Lenin Moreno (2017–2021) e che si è aggravata con l’arrivo del “governo dell’incontro” di Guillermo Lasso, nonostante i buoni auspici con i quali si era partiti a maggio 2021.

Insomma, non si tratta di un video di pochi secondi che racconta della morte di un uomo di 59 anni, candidato alla presidenza il prossimo 20 agosto per il Movimiento Construye, protagonista della scena pubblica ecuadoriana dell’ultimo decennio (Villavicencio fu acerrimo nemico di Rafael Correa), ma di un contesto ben più ampio che merita di essere analizzato, studiato e raccontato.

D’altronde proprio nel programma di Villavicencio, così come nei suoi comizi, si parlava di sicurezza dei cittadini, di sicurezza alimentare, di sicurezza economica, di sicurezza ambientale e di sicurezza sanitaria, con una speciale menzione alla lotta al narcotraffico e alla corruzione nel settore petrolifero. Per onorare la sua memoria dobbiamo parlare di questo Ecuador, dei suoi problemi e delle soluzioni che potrebbero arrivare dalle prossime elezioni, con o senza un ritorno del correismo.

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