In questa estate, oltre che i Lanzichenecchi e i toast tagliati a metà, vanno di moda – si fa per dire – gli incidenti in montagna. Sembra che non ce ne siano mai stati così tanti. Tra alpinisti colti dal maltempo, escursionisti inesperti e domenicali sulle ferrate, quanto a salvataggi non ci si fa mancare nulla.

Sto trascorrendo l’intera estate in montagna e da casa parto per fare escursioni, visto che non posso più permettermi ascensioni, e vorrei porre l’attenzione su una problematica che non attiene direttamente agli incidenti, ma che potrebbe anche. Parlo di una vallata dell’arco alpino occidentale, e per esperienza direi che ciò che vado a descrivere non si attaglia alle Alpi Orientali. La problematica risiede nell’assoluto disinteresse che le amministrazioni di montagna – che siano comuni o unioni di comuni non importa – hanno per gli escursionisti. Parlo di una valle in cui lo sci di pista è sacro e mi rendo conto che uno sciatore porta molti più quattrini che un escursionista, ma non si parla forse di multistagionalità? Vi faccio qualche esempio.

Parto per una gita: la segnaletica ad inizio gita mi indica una tempistica di un’ora e quarantacinque minuti. Cammino di buona lena e dopo mezz’ora un altro cartello mi indica per la stessa meta l’identica tempistica. In realtà manca circa un’ora, anzi meno. Altro esempio: una borgata abbandonata. Da inizio percorso un cartello indica dieci minuti per raggiungerla. Un altro, stesso itinerario, un’ora. Non parliamo poi di quei cartelli che ti indicano una certa località e poi lungo il percorso non indicano più quella, ma altre e tu non sai più che pesci pigliare. Così come arrivi ad un bivio e non sai più dove andare, se a sinistra o a destra perché la segnaletica è scomparsa.

Certo, ci sono le cartine, spesso al 25.000, ora c’è anche l’ausilio del GPS (dove c’è campo), ma poniamo che un escursionista si basi solo su quello che l’amministrazione gli indica. In caso di maltempo o di semplice nebbia, fenomeno non così raro in montagna, cosa potrebbe accadere?

Altra problematica. Siamo in Piemonte. Come in altre regioni la viabilità agrosilvopastorale è vietata ai mezzi motorizzati, salvo le persone autorizzate. Qui no, nel senso che c’è la pista ma manca il divieto, non dico la sbarra che sarebbe chiedere troppo, ma il cartello di divieto di accesso, almeno quello. Risultato: ti trovi automezzi o trialisti dappertutto. E questi ultimi te li ritrovi persino sui sentieri, con tutto il pericolo che questo transito può comportare. Costerebbe molto apporre un cartello di divieto ricordando le sanzioni?

E qui veniamo ad un tasto dolente: i controlli. Il Corpo Forestale, da quando il governo Renzi lo incorporò nell’Arma dei Carabinieri, latita. I vigili dei Comuni montani sono pochi e hanno altro da fare. Le guardie ecologiche volontarie sono anch’esse poche e anziane. Il risultato è che la viabilità montana è il regno dell’arroganza motoristica, con quello che ne consegue a livello di inquinamento e di pericolo. Segnaletica deprimente e motori: povero escursionista!

Del resto, scusate, tornando a quanto dicevo sopra, l’escursionista è quel miserello che si porta il panino da casa e si riempie la borraccia alla fontana, cosa volete che gliene freghi alle amministrazioni montane?

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