Sono trascorse poche settimane dalla vivace polemica che ha alimentato il dibattito sulle croci in vetta, il rumore non si è ancora placato. Se i mezzi di informazione, che hanno innescato lo “scontro”, hanno ormai abbandonato il tema alla ricerca di un nuovo osso da spolpare e i politici, intervenuti per lo più senza criterio travisando completamente a scopo politico i contenuti del dibattito, sono tornati a discutere di cose più serie come l’abbigliamento dei parlamentari, sul web e sui social continuano a correre le informazioni, anche perché il processo di spettacolarizzazione e colonizzazione delle montagne non si è certo fermato.

La croce più alta del mondo, 18 m, era in progetto di essere installata nel 2020 sulla vetta del Monte Faloria (2123) in Dolomiti, nei pressi di Cortina. Dopo l’opposizione della Soprintendenza ci si è accordati con l’amministrazione di Malcesine per collocarla sul Monte Baldo, zona di particolare pregio ambientale e naturalistico; a seguito delle proteste si è convenuto di dirottarla in un giardino privato nei pressi del Santuario della Madonna della Corona, 15 km più a est e a quota più bassa.

Il mese scorso abbiamo contestato il progetto di una nuova croce alta 4 metri al Piz de Guda, situato a nord della Marmolada e alto oltre 2000 metri. Se si fosse ripristinata la preesistente modesta croce in legno eretta nel 1962, o ne fosse stata proposta una di dimensioni molto ridotte capace di recuperare una storia anche religiosa perduta con la caduta della precedente, la nostra associazione non avrebbe presentato obiezioni; invece l’installazione deve essere il più visibile possibile, senza richiamare né spiritualità né valore religioso, piuttosto il trionfo di una volontà narcisistica di imporre alle montagne un proprio segno, privo di rispetto del paesaggio e della montagna, privo di sobrietà. Dietro queste ed altre sollecitazioni i proponenti, d’accordo con la Soprintendenza e con l’amministrazione locale, hanno annunciato di voler riconsiderare il progetto.

Molto interessante la presa di posizione di parte del mondo cattolico. Monsignor Melchior Sànchez De Toca Alameda, sottosegretario per la cultura e l’educazione della Santa Sede, ha detto: “Non si deve banalizzare il simbolo della croce facendone uso improprio, un eccessivo proliferare ne sminuisce il significato, come succede quando sulle montagne si erigono proprio enormi croci, simili a tralicci”. Ancor più netto è stato il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero: “Le croci raccontano una storia e quindi quelle che ci sono sono da conservare, ma per il futuro ci dobbiamo interrogare. A fare la polemica, spesso sono proprio quelli che non hanno una croce neppure in casa propria: una contraddizione”.

Non siamo volutamente entrati nella contesa, che ha coinvolto principalmente il Club Alpino Italiano dalla base fino ai vertici, anche perché la nostra posizione in merito è chiara da tempo e ben evidenziata in un documento scritto già dieci anni fa che richiamava “l’opportunità di giungere a regolare, nel rispetto dei luoghi e delle diverse sensibilità dei loro frequentatori, la installazione di croci gigantesche (anche illuminate di notte), di crocifissi, di statue di madonne e di santi, di altarini in ricordo di defunti, ovvero di opere artistiche di carattere profano”. Non si parla solo di croci, dunque: pensiamo al dinosauro in legno di tre metri per sei installato per un paio d’anni sulla cresta del Monte Pelmo a quota 3000 metri, al Cristo pensante di Passo Rolle, per arrivare fino alle più modeste ma invasive panchine giganti. O ancora, contraddicendo chi afferma che “piccolo è bello”, alle numerose croci rosse e blu che hanno imbrattato di vernice rocce, piante e licheni lungo l’ipotesi di tracciato del nuovo impianto attraverso il Vallone delle Cime Bianche in Val d’Ayas – area protetta – o i bollini rossi fosforescenti disseminati con bombolette spray lungo la via normale alla Presolana, teatro di un evento sportivo con finalità benefiche.

Si ritiene siano più che maturi tempi affinché Comuni, Regioni, Stato nazionale impongano limiti al proliferare di qualunque manufatto sulle alte quote. Non siamo iconoclasti, chiediamo regole a tutela delle aree protette, delle nostre montagne e del buon senso. Che poi però vengano applicate e rispettate, altrimenti si arriverà sempre più spesso ad estremi come quello apparso alcuni anni fa in Austria.

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