Michela Murgia, una delle scrittrici più lette e una delle pensatrici femministe più influenti degli ultimi anni, è scomparsa poche ore fa, per le conseguenze di un carcinoma ai reni al quarto stadio.

Com’è giusto che sia, i giornali sono pieni di necrologi, di enciclopedici sunti della sua opera. In questo mio spazio personale, consentitemi, invece, di salutare un’amica.

Non posso dire di essere stato parte della sua cerchia più stretta di amici o di affetti, ma negli ultimi anni avevamo sviluppato un rapporto di stima e confidenza, anche su temi molto delicati, come la malattia e il modo, fiero e gioioso, con cui una persona cruciale nella mia vita l’aveva affrontata. La stessa cosa che Michela, a modo suo, ha fatto, con coraggio impressionante, fino alla fine.

Ci eravamo conosciuti direttamente sul palco, nel 2019, durante un incontro sull’antifascismo presso la fiera fumettistica ARF!; Mauro Uzzeo, tra gli organizzatori del festival, ha riportato uno scambio precedente all’incontro: “Michela, dicci a che ora vuoi prendere il treno che ti facciamo il biglietto”. “Naaa, non accetto soldi per parlare di antifascismo. Al massimo spendeteli per berci una cosa insieme!”. Questo era Michela Murgia: una militante appassionata e una festosa amante della vita.

In primo luogo, Michela era tutto il contrario della bisbetica rompiscatole con cui la peggiore Destra del Dopoguerra caratterizzava la sua immagine pubblica: era una persona meravigliosa, solare, ospitale ed elegante, sempre pronta alla battuta giocosa, all’amato incanto del racconto. Non eravamo d’accordo su tutto, ma non importa: non è importato mentre era in vita, importa ancor di meno ora nella sua memoria.

Al di là delle singole opinioni, resterà un’ispirazione per il suo coraggio e la capacità, rarissima in questo periodo, di creare una comunità attorno al proprio pensiero. Se è vero che, personalmente, come molti, ho dovuto passare ore sui social a difenderla da attacchi vili e volgari, da continui malintesi, da codarde e indegne campagne ad personam, è anche vero che quando presentava un libro sembrava di stare a un concerto rock, per le file chilometriche e l’entusiasmo dei fan. Per Michela era un problema anche andare a prendere un caffè al bar: ovunque, a ogni passo, la fermavano per strada, e molto più spesso gli ammiratori grati e commossi (soprattutto donne, ma non solo) che i detrattori in vena di polemica. Un aspetto per me affascinante è questo: tanto era tranchant, provocatoria, perentoria nei suoi articoli, quanto la sua intelligenza era sottile, affilata, complessa nei confronti in privato.

Dico questo non per attenuare o ridimensionare le sue, spesso consapevolmente controverse, uscite pubbliche: quello era precisamente il modo con cui Michela voleva intervenire nel dibattito culturale. Intendo proprio dire che la tendenza alla provocazione paradossale, alla posizione fieramente partigiana, in difesa di cause a volte difficili da sostenere non erano il frutto di un fazioso sguardo aprioristico sulla realtà, al contrario era la scelta lucidamente militante di difendere a testa alta un punto di vista a cui era giunta dopo un aperto processo dialettico.

Un altro paradosso “magico” che mi legava alla sua figura era la sua diffidenza, intellettuale, nei confronti della visione tradizionale, archetipica dell’esistenza: eppure, lei che voleva rovesciare la tradizione ne incarnava uno degli archetipi più antichi e magici, la magia del Femminile. Non è un caso che lei, fautrice della famiglia queer, del linguaggio inclusivo, della distruzione sistematica dei ruoli della famiglia tradizionale, ci abbia lasciato un monumento letterario alla tradizione magica della Sardegna nel romanzo Accabadora.

Condivido, in questo senso, le parole scritte da Tlon (Maura Gancitano e Andrea Colamedici) nel loro ricordo sulle loro pagine social: “La sua enorme e affilatissima intelligenza, insieme all’ironia e all’intensità, ci lasciano le tracce nel futuro di un cammino di lotta e meraviglia”.

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Perfette, e commoventi, le parole di Loredana Lipperini su La Stampa: “Per Michela la scrittura era politica, come è giusto che sia. (…) È sempre stato così. Non c’è stato giorno in cui Michela non ha preso posizione, con un coraggio impressionante, sui fatti su cui gli altri e le altre, nella maggior parte dei casi, tacevano per pura convenienza, per non inimicarsi qualcuno, per non incrinare le possibilità di un avanzamento. Lei ha sempre osato”.

Un abbraccio infinito, Michela.

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