di Stefano Briganti

Gli ultimi sviluppi del conflitto russo-ucraino dimostrano quanto è folle la spirale che condurrà ad una guerra allargata. La condanna dell’invasione russa in Ucraina è stata detta, scritta, gridata e ribadita dall’Onu, dalle cancellerie Ue, dalla Casa Bianca, da Bruxelles. Dagli Usa e alleati venne però stabilita con Kiev una condizione ferma per potergli garantire un supporto incondizionato, ininterrotto e a tempo indeterminato: la difesa dell’Ucraina contro l’invasore doveva svolgersi e rimanere sul territorio ucraino, senza attacchi in territorio russo. Zelensky promise di rispettarla.

Iniziò la guerra economica che non prevedendo cannoni poteva dispiegarsi senza rischi per la coalizione (così ci dissero). Indimenticabili gli elogi alla velocità e compattezza nella esecuzione, l’imponenza del ventaglio delle misure, la corsa a ridurre la dipendenza dalle fonti energetiche russe in una gara a chi riduceva di più e prima. Biden a marzo 2022 sentenziò: “Le sanzioni alla Russia fermeranno la macchina bellica russa ed eviteranno la Terza guerra mondiale”. Oggi sappiamo che non è andata così. La macchina bellica russa non si è fermata, la Russia è in economia di guerra e il FMI ha certificato un outlook del Pil russo 2023 a +1,5% mentre per l’Ue è +0,9%.

Poi è iniziato il flusso di armi la cui potenza è andata via via crescendo ed ad ogni nuovo giro ci dissero che avrebbe risolto il conflitto. I Javelin, gli Himras, i Patriot, i Leopard, i Bradley, i Shadow Storm, gli Arpion, i proiettili ad uranio impoverito e le bombe a grappolo non hanno risolto il conflitto ma, ovviamente, lo hanno intensificato. Qualunque ipotesi di concludere il conflitto per via diplomatica è stata ed è rimasta cancellata.

Poi sono iniziate le azioni rivendicate da Kiev sul territorio russo. Un attentato, una bomba, attacchi al di là del confine. Washington non gradisce e brontola con Zelensky che a maggio a Berlino davanti a Scholtz riafferma che non attaccherà mai sul territorio russo. Quando Kiev chiede missili a lungo raggio e F-16, gli Usa frenano perché c’è il rischio che Kiev li possa usare in Russia.

Ancora un passo avanti e Zelensky fa lanciare droni su Mosca. Fiato sospeso, Putin non reagisce come fece Bush l’11 settembre, paura passata. Pochi rimbrotti dagli alleati e così quando a luglio Washington accetta di inviare missili a lungo raggio per gli Himras, Zelensky che ora ha l’”esercito più armato del mondo”, che sa che qualunque cosa chieda la ottiene perché gli alleati ormai non possono più mollarlo, lancia l’ultima, rischiosissima evoluzione. Dichiara ufficialmente che per l’Ucraina colpire Mosca, colpire la Russia sul suo territorio è cosa legittima e doverosa e continuerà a farlo. Salta l’accordo preso con Zelensky per la fornitura di armi. Il 31 luglio droni ucraini colpiscono il business center di Mosca.

Le rimostranze di facciata di Washington, la Ue che dice a Mosca di non usare il caso come pretesto per una escalation del conflitto, risuonano più forti del rombo di qualsiasi cannone. Perché ora le armi a lungo raggio degli alleati potranno essere usate da Kiev sulla Russia senza che gli alleati possano porre freni.

Putin ha detto all’Occidente e al popolo russo (22 febbraio 2023) che se la sicurezza della Federazione Russa e dei russi venisse messa a rischio, Mosca userà qualunque mezzo per salvaguardarla. Kiev pensa di essere al sicuro con il suo “esercito più armato del mondo” e con tutto l’occidente impegnato ad oltranza che non intende (e ormai non può) mollarlo. L’Europa si sente protetta da una Nato diventata agguerritissima. L’Occidente sembra non aver ascoltato Mosca o invece l’ha ascoltata bene e intende costringerla alla escalation finale con “qualunque mezzo” per poi cercare di inchiodarla e di seppellirla definitivamente davanti al mondo.

Si dirà che per i morti ucraini sarà valsa la pena morire per questo risultato, come disse M. Albright per il mezzo milione di bambini iracheni morti sotto le bombe Usa.

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