“Turisti ad ogni costo”. Dovrebbe essere il nome dell’agenzia di viaggi che ha organizzato l’escursione di uno sparuto gruppo di turisti italiani in Siria. Il ministero del Turismo siriano non si è fatto scappare l’occasione di celebrare “il gruppo di italiani che hanno visitato la città di Ebla”, con un post sulla pagina Facebook.

D’altronde, il legame fra i resti della città di Ebla e l’Italia è forte. A scoprirla è stato proprio un archeologo italiano, Paolo Matthiae, recentemente – circa un mese fa – decorato in pompa magna dallo stesso presidente al Assad per i suoi meriti e per essere sicuramente un amico del popolo siriano. Di quale popolo siriano sia amico, l’illustre archeologo, è difficile saperlo: se di quello che vive nei campi profughi del Medio Oriente o di quello che siede alle cerimonie al caviale e champagne.

Ma il poco gusto, in questa occasione, è quella del turismo di guerra. Andare in un paese dilaniato dalla guerra civile – come se nulla fosse! – a visitare i resti archeologici di una civiltà scomparsa millenni fa. E’ come se, nel bel mezzo della guerra al califfato, si fosse organizzata una scampagnata a Mosul per farsi un giro al mercato e respirare l’esotismo arabo. O se, quasi quasi, l’agenzia turisti ad ogni costo avesse organizzato un bel autobus Milano Marittima-Kabul per andare a vedere i resti di qualche civiltà scomparsa.

E poco importa della situazione del paese, delle donne costrette al burka o delle uccisioni sommarie. Come poco importa che in Siria si bombardi ancora e che la gente, oltre la metà della popolazione, non abbia accesso alle strutture sanitarie. L’importante è consumare il pranzo al sacco all’ombra di Ebla. E in cuor nostro sperare che sia solo l’ennesima bufala, l’ennesima menzogna della propaganda di regime siriano, volta a normalizzare un paese che di normale non ha più nulla. Neanche il turismo.

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