Domenico Iannacone. Ancora lui. Ma come, direte, in televisione non si vede già da un po’, anzi, proprio in questi giorni il tema del suo ritorno in Rai o meno è stato oggetto di dichiarazioni da ambo le parti, senza che ad oggi si sia arrivati a una svolta. Per il momento il programma Che ci faccio qui è assente dal palinsesto della prossima stagione televisiva.

Nel frattempo lui non si ferma. Una parte nella Medea messa in scena dal Teatro Patologico (che abbiamo conosciuto in una delle puntate), la partecipazione al Festival della Lentezza a Parma con lo spettacolo, scritto e interpretato da lui, Che ci Faccio qui in scena (presentato da TeatroDelLoto/TeatriMolisani, con la produzione artistica di Stefano Sabelli), l’inizio di un tour che lo porterà nei teatri di piccole e grandi città italiane. Il debutto a Roma è stato ospitato nell’Arena del Teatro di Tor Bella Monaca, tutti i posti occupati. Eravamo seduti in attesa che avesse inizio lo spettacolo, quando a sorpresa Iannacone è arrivato dal fondo, camminando lungo il corridoio, sorridente, abbronzato, vestito con maglietta e pantaloni neri, essenziale. E’ salito su un palco minimale, nero pure lui, un leggio da un lato e il musicista Francesco Santalucia, autore del commento di musica e suoni, dall’altro.

Da solo tutto il tempo, con il contributo di spezzoni tratti da un paio di film (creazioni video di Raffaele Fiorella, coordinamento tecnico di Eva Sabelli) ed estratti dalla trasmissione, ha raccontato per un paio d’ore le periferie e i loro abitanti con lo stile, la calma, l’espressione che lo contraddistinguono. A ciò cui siamo abituati ha aggiunto il racconto di quel senso che non riesce ad attraversare lo schermo: l’olfatto. E così ci ha descritto gli odori, quelli che ha sentito in alcuni dei posti dimenticati dal mondo dove ha incontrato i disperati, gli emarginati, i fragili.

Domenico Iannacone ha sempre lavorato con la professionalità del giornalista ma con la partecipazione dell’uomo che cerca, e a volte trova, soluzioni. Non rimane in superficie, anzi, proprio calandosi con la fune nel buio più profondo riesce a trovare, puro, altri puri, facendo emergere quella che lui chiama la speranza. Fausto delle Chiaie, artista vero, al quale, grazie alla mobilitazione seguita alla trasmissione di cui è stato protagonista, è stato finalmente concesso il beneficio della legge Bacchelli. Domenico Agostinelli, collezionista di ogni cosa, che ha raccolto per una vita gli oggetti più disparati, mettendo in piedi un incredibile Museo privato. Mirko Frezza, che oggi fa l’attore e che dopo la sua rinascita è arrivato a somministrare 600 pasti al giorno ai bisognosi del suo quartiere. La psicologa in pensione Lorena Fornasir che cura le piaghe dei piedi dei migranti insieme al marito, professore in pensione anche lui.

Per tutto il tempo, nel dipanarsi di ogni storia, siamo rimasti muti, in silenzio, rapiti, concentrati, partecipi, la nostra attenzione catturata in maniera totale, nessun cellulare in mano, in un clima di profondo rispetto e di complice intimità. E mentre noi ascoltavamo, lui parlava e parlava, con occhi buoni, unendo le sue emozioni alle nostre, con semplicità, con gesti delle mani mischiati alle parole, quelle che sapientemente intervalla con silenzi eloquenti e necessari allo spazio che lascia all’interlocutore. Si è soffermato sulla potenza dirompente delle parole, sul fascino che su di lui hanno esercitato quelle esplorate su un dizionario della lingua italiana con il quale da giovanissimo ha compiuto i primi viaggi fantasiosi. Poi è approdato con naturalezza alla scrittura di poesie, grazie alle quali è entrato in contatto con Amelia Rossi, frequentando lei e i maggiori letterati italiani. Per la prima volta ho sentito Iannacone parlare di sé. E anche in questo caso ha saputo farlo con discrezione, incastonando i racconti del suo vissuto con quelli delle vite degli sfortunati, degli invisibili. Di periferia in periferia, a Roma soprattutto, ma non solo. E anche il teatro nel quale si è esibito ieri è un teatro comunale di periferia, con un prezzo del biglietto modico, onesto, come lui.

Teatro narrazione, neorealistico, civile, sociale. Ci ha esortato a guardarci negli occhi, a ritrovare la forza dello sguardo nello sguardo dell’altro. Ci ha chiesto di non erigere muri, di riconciliarci con la nostra coscienza, di non abbandonarci alla paura, di mettere da parte l‘indifferenza. I suoi occhi brillavano, abbracciandoci con lo sguardo. Alla fine ci siamo alzati tutti, tutti in piedi per lui. Eravamo e siamo quella famiglia larga che ha saputo magistralmente creare e riunire. La conferma l’ho avuta quando, al termine dello spettacolo, senza nemmeno concedersi di andare dietro le quinte per un attimo, è sceso subito dal palco e, mentre ci raccoglievamo intorno a lui, ha cominciato a salutare con affetto quelli di noi che già conosceva e riconosceva, senza risparmiarsi, scusandosi per il ritardo con cui aveva cominciato e per essersi tanto dilungato. Allo stesso modo si è donato a ciascuno che avesse qualcosa da dirgli, una domanda da fargli, o semplicemente una foto da chiedere. Per tutti una parola, un ringraziamento, un segno di attenzione. Nessuno snobismo, nessun atteggiamento affettato, non cede alla vanità.

Domenico è molto amato e vuole rimanere come noi. Ma non è come noi. La sua capacità di risvegliare menti intorpidite, la sua forza di schiudere occhi serrati, sono uniche. La Rai dovrebbe tenerselo molto stretto, abbiamo bisogno di Domenico Iannacone per molte stagioni ancora. Dategli il tempo giusto per lavorare bene come sa fare.

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