“Ho visto galleggiare due corpi già senza vita in acqua, una donna e un bambino che però non siamo riusciti a recuperare poiché abbiamo dovuto raggiungere altri due migranti che stavano chiedendo aiuto. Una volta tratti questi in salvo, i corpi esanimi della donna e del bambino sono spariti dalla nostra vista. Mentre tiravo in salvo sul peschereccio le persone ancora in acqua, ho preso il corpo privo di vita di un piccolo bambino, ma l’ho subito passato a chi stava dietro di me… non so dove sia stati poi adagiato”. A raccontare gli attimi della tragedia consumata a largo di Lampedusa lo scorso 12 luglio – in cui ha perso la vita anche un bimbo di 4 anni – è un giovane di 26 anni. Originario del Camerun, è uno studente le cui condizioni precarie lo hanno costretto ad attraversare l’Africa a bordo di pick up messi a disposizione dai trafficanti di uomini. Arrestato in Tunisia perché trovato senza documenti, dopo tre mesi di carcere, ha trascorso due giorni in un bosco in attesa di mettersi in contatto con un trafficante che, per 300 euro, lo ha fatto salire su un barchino di ferro con un piccolo motore. A bordo, con lui, c’erano 51 persone. Il mare calmo che poi si è agitato rendendo impossibile far anche il breve tratto di mare tra Sfax e Lampedusa.

Il suo racconto, reso agli investigatori della polizia, è finito nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Irene Giani che, su richiesta del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e del sostituto Federico Sardegna, ha arrestato i due presunti scafisti della Sierra Leone, Mohamed Jor Ginho Cissay e Joseph Konteh, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte come conseguenza dello stesso reato. Mentre il secondo scafista è stato bloccato a Lampedusa dove era stato accompagnato per motivi sanitari, il primo è stato arrestato a Reggio Calabria dove il 13 luglio, all’indomani della tragedia, era stato sottoposto a fermo. Cercando di confondersi tra i migranti, Mohamed Jor Ginho Cissay è arrivato con la nave Dattilo della guardia costiera che in riva allo Stretto ha portato anche la salma di un bambino di 4 anni, vittima del naufragio. Da qui l’indagine condotta dalla squadra mobile diretta da Alfonso Iadevaia. L’inchiesta si basa sulle dichiarazioni dei migranti che hanno riconosciuto, in foto, i due scafisti arrestati.

“Durante la traversata – dichiara sempre il giovane del Camerun – le condizioni del mare hanno iniziato a peggiorare, quindi dopo circa un giorno di viaggio, mentre eravamo in navigazione, abbiamo avvistato un peschereccio in lontananza al quale abbiamo iniziato a segnalare la nostra presenza sventolando i nostri indumenti”. Era il peschereccio tunisino “El Arousse”: “Ci hanno lanciato una cima in nostro soccorso… così mentre stavamo effettuando il trasbordo, intorno alle 20, dalla nostra imbarcazione in ferro al peschereccio, ci siamo sbilanciati e la nostra barca purtroppo è affondata. Tutti noi migranti siamo finiti in acqua… sei di noi non sono riusciti a salvarci”.

“A bordo siamo stati stipati in 45-50 persone, tutte del Centro Africa”. Un migrante nigeriano di 24 anni ricorda che a bordo c’erano molte donne e bambini: “Alcuni di questi sono morti, dispersi. Ho visto diversi corpi che non si muovevano in acqua, erano tre, quattro bambini e due corpi di adulti, un uomo e una donna”. La stessa cosa la racconta un altro nigeriano di 17 anni: “Il nostro barchino di ferro si è rovesciato e tanti migranti sono caduti in mare. Ho visto galleggiare corpi senza vita. Ho visto quattro bambini dell’età apparente di 1 anno, 3 mesi, 4 anni e 10 anni. Inoltre, ho visto galleggiare esanime anche una donna. È stato davvero straziante. Uno di questi bambini, credo quello di 4 anni, è stato portato a bordo della nave italiana che ha proceduto al soccorso”.

Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip Giani scrive che gli indagati hanno “agito servendosi di una rete più ampia, in sinergia con altri soggetti, operanti tanto sulle coste tunisine quanto sulle coste italiane e incaricati di sovrintendere alle fasi dell’organizzazione della partenza e dell’arrivo”. I magistrati non hanno dubbi: il trasporto dei migranti “è stato assicurato dagli indagati, mediante un’imbarcazione che, per dimensioni e caratteristiche strutturali, era assolutamente inadeguata ad affrontare il tragitto con la moltitudine dei soggetti trasportati. Tale circostanza era sicuramente idonea, in sé, ad esporre i passeggeri a pericolo concreto per la loro vita o comunque per la loro incolumità”.

(immagine d’archivio)

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