Niente da fare, non ci sta proprio l’attuale partito di governo ad accettare la verità sulla strage di Bologna che si è andata costituendo negli anni (sul piano processuale e storico). Che quella fosse una strage di stampo neofascista fu chiarissimo quel giorno stesso, quando proprio lì alla stazione, mentre la città si mobilitava in una straordinaria e drammatica gara di solidarietà, si sentiva odore dei neri. I processi lo hanno poi stabilito ma non senza incursioni depistanti: non a caso l’attuale presidente della Associazione delle vittime, Paolo Bolognesi, si è battuto con successo in Parlamento per una legge che condanni l’ufficiale infedele che ostacolò gli inquirenti – peraltro applicata proprio nell’ambito dell’ultimo processo sulla strage e anche in quello sulle violenze nel carcere di Santa Maria Capua a Vetere.

Ebbene uno di quei tentativi di addossare altrove le responsabilità del massacro del 2 agosto 1980 è noto come la “pista palestinese” ed è una grande balla sulla quale ora Fratelli d’Italia riprova a riaccendere il fuoco con una interpellanza al presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ai ministri dell’Interno Matteo Piantedosi e il Guardasigilli Carlo Nordio, sottoscritta dall’audace Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura.

La montatura nasce dall’arresto a Bologna il 13 novembre 1979 di Abu Saleh, esponente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), ritenuto committente del trasporto dei missili Strela sequestrati dai Carabinieri a Ortona; siccome in questo modo, secondo i coriacei sostenitori della tesi, l’Italia sarebbe venuta meno agli accordi contenuti nel famoso lodo Moro (riconoscimento della Resistenza palestinese che si impegnava a non compiere atti di violenza sul nostro territorio) allora i Palestinesi che fanno? Si vendicano con la strage di Bologna.

La strampalata tesi è stata sonoramente bocciata da diverse inchieste, come ha tenuto a ricordare anche il sostituto procuratore generale bolognese Nicola Proto nella sua recente requisitoria nel processo d’appello sull’attentato a carico dell’ex Nar Gilberto Cavallini.

Dopo l’arresto e il processo contro Saleh le Autorità italiane e lo stesso Fplp trovarono infatti un accordo soddisfacente per entrambe le parti e le relazioni proseguirono senza intoppi, come dimostrano i documenti da poco resi consultabili dai quali emergono le buone relazioni, dopo il 2 agosto, tra Italia e autoritari palestinesi (che molto dovevano all’impegno diplomatico italiano). Si tratta di documenti acquisiti dalla Commissione Moro guidata da Giuseppe Fioroni e allora disponibili solo ai suoi membri, tra cui c’erano ovviamente anche quelli della destra che li hanno poco considerati, evidentemente.

E però tutto questo non basta. L’interpellanza chiede di sapere, tra le altre cose, perché Saleh risulti essere stato detenuto nel carcere di Pianosa, dato che lui stesso a marzo 2009 disse al periodico Arab Monitor di essere stato nel penitenziario di Trani e da lì trasferito a Regina Coeli. E poi: Saleh, da detenuto, ebbe contatti con “elementi del terrorismo italiano o internazionale”?

Domande pertinenti? No, solo un tentativo, l’ennesimo, di non parlare delle responsabilità dei neofascisti. Tentativo che suona molto provocatorio alla vigilia degli eventi che ricorderanno le vittime, molto sentito dalla città e da tutto il Paese che non dimentica (e dove Bolognesi ha già detto che non sarà gradita la neopresidente dell’Antimafia Colosimo, per via dei suoi rapporti con Luigi Ciavardini, condannato in via definitiva per la strage).

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