Che tipo di giuramento ha fatto Paolo Bellini? Quale promessa solenne ha impedito all’ex primula nera di difendersi da quelle che lui definisce “infamità“, che poi sarebbero le molteplici accuse per cui è stato condannato? E a causa di questo giuramento che Bellini non ha mai raccontato i segreti di cui è probabilmente custode? Sono domande che è impossibile non porsi dopo aver letto le intercettazioni dell’ex estremista nero, arrestato oggi su richiesta della procura generale di Bologna. Dopo una vita vissuta pericolosamente, nell’aprile del 2022 l’ex esponente di Avanguardia Nazionale è stato condannato all’ergastolo in primo grado per la strage del 2 agosto 1980: 85 morti e oltre 200 feriti. Una condanna che arriva a quarant’anni dai fatti, per i quali l’ex primula nera era già stato prosciolto. A farlo finire nei guai è un filmato amatoriale girato da un turista svizzero, negli attimi precedenti all’esplosione: si vede un giovane coi baffi e i capelli ricci muoversi alla stazione del capoluogo emiliano. Secondo Maurizia Bonini, la sua ex moglie, quell’uomo è proprio Bellini, che all’epoca dei fatti portava un paio di baffi identici, lo stesso taglio di capelli e aveva la medesima fossetta sul viso. Un riconoscimento fondamentale quello dalle sua ex moglie, che porterà alla condanna di Bellini al carcere a vita.

Le cimici del Ros e della Dia – L’ex estremista nero non la prende bene. Minaccia l’ex moglie, ma pure Francesco Maria Caruso, il presidente della corte d’Assise che lo ha condannato: promette di vendicarsi, uccidendo uno dei Bonini e colpendo il figlio del magistrato Caruso, che fa il diplomatico in Brasile, lo stesso Paese dove lui è stato latitante per anni. Sono quelle minacce che oggi hanno fatto riaprire a Bellini le porte del carcere. Le parole dell’ex estremista nero, infatti, vengono registrate dalle microspie ambientali piazzate dalla Dia e dal Ros. Dall’ordinanza di custodia cautelare della corte d’Assise d’Appello di Bologna si scopre che Bellini è attenzionato anche dalla procura di Firenze e da quella di Caltanissetta, gli uffici inquirenti competenti per le stragi del 1992 e 1993. Grazie al coordinamento della procura nazionale Antimafia, le note della Dia con le intercettazioni arrivano ai magistrati di Bologna. Che hanno chiesto e ottenuto l’arresto di Bellini. In quelle carte, però, non ci sono solo le minacce dell’imputato contro l’ex moglie e il giudice che lo ha condannato. No, Bellini dice anche altro.

“Sono dentro a cinquant’anni di storia d’Italia” – È il 5 dicembre del 2022 e l’ex estremista nero sta pranzando a casa sua con la moglie e il cognato. È un fiume in piena: parla del processo subito e manifesta la sua rabbia nei confronti del giudice Caruso, che chiama “il cambogiano“, perché fa i processi come “il cambogiano Pol Pot“. Poi dice anche altro: “Io ho sopportato quarant’anni a stare zitto, tutto il fango che mi hanno buttato addosso per quarant’anni, quel gruppo specializzato. Infamità nei miei confronti e nei confronti di una classe politica particolare, va bene?”, si sfoga. Quindi spiega ai suoi familiari: “Non potevo contrastarli perché c’era di mezzo un giuramento, va bene? Ecco, adesso basta, hanno superato tutti i limiti”. Di che giuramento parla Bellini? Con chi è stato siglato? E cosa prevedeva? Secondo la Corte d’Assise d’Appello questo fantomatico “giuramento” ripropone la questione dei rapporti di Bellini con “alcune istituzioni“, che presenta tutt’ora “punti oscuri“. In questo senso i giudici evidenziano come si tratta di uno sfogo ” inquietante, dato il contesto nel quale l’imputato si è sempre mosso”. Un contesto che Bellini sembra rivendicare nel suo lungo sfogo: “Allora è tutto un sistema nei miei confronti che dura dal 1970Cinquant’anni, sono cinquant’anni di storie d’Italia dentro alle quali io sono stato dentro un pò di qua, un pò là, un pò di su, un pò giù, hanno usato delle cose, degli atti di processi dove sono stato archiviato e li hanno riesumati e li han fatti diventare come se fossero veri, non parlando e non dicendo che quelli erano atti già archiviati”. Quando dice di avere avuto un ruolo in cinquant’anni di storia italiana Bellini ha ragione. Nato a Reggio Emilia nel 1953, ha vissuto una vita da film. Esordisce come militante dell’estrema destra in Avanguardia nazionale, poi diventa pilota di aerei e trafficante di opere d’arte con la falsa identità di Roberto da Silva, quindi si trasforma in killer della ‘ndrangheta ma pure in un collaboratore di giustizia quando si autoaccusa dell’omicidio di Alceste Campanile, un militante di estrema sinistra assassinato nel 1975: il delitto rimarrà insoluto fino al 1999 quando Bellini confessa. Nel suo curriculum anche l’esperienza di testimone al processo sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra: viene chiamato a raccontare i suoi rapporti con Nino Gioè, boss poi morto suicida in carcere in circostanze misteriose. Ma racconta pure l’esperienza da infiltrato dei carabinieri nelle cosche con l’obiettivo di recuperare opere d’arte rubate. Episodi opachi e mai chiariti che oggi hanno fatto finire Bellini sotto inchiesta anche per le stragi di Capaci, di Firenze, Roma e Milano.

Le intercettazioni sui servizi – Nelle intercettazioni ambientali più volte Bellini appare furente per la condanna subita a Bologna. Se la prende col giudice che l’ha condannato, con l’ex moglie che l’ha riconosciuto, con l’avvocato di parte civile. Ma pure con soggetti imprecisati. Lo fa, per esempio, la mattina del 27 dicembre. La Dia annota che Bellini sembra parlare da solo, rivolgendosi a un fantomatico interlocutore: “Questi stanno a spigne (spingere, ndr). Adesso non dico niente io e se mettermi latitante un’altra volta … mah, a me non interessa ma dove eravate prima ? Quando la Procura Generale si muoveva, faceva … Oh si, s’é mossa bene ! Come no, si son comportati bene perbacco! Allora come si fa a mandarlo e come si fa a mandarlo”. L’ex primula nera si riferisce evidentemente al momento in cui la procura generale di Bologna ha avocato l’inchiesta sui mandanti della strage: ma a chi si rivolge quando dice “dove eravate prima“? Chi è che doveva intervenire? Un altro passaggio oscuro viene captato quando Bellini legge le motivazioni della sua condanna, depositate il 5 aprile del 2023. Si sta soffermando sul passaggio relativo ai suoi rapporti con l’intelligence: “Sono emersi nel processo elementi di prova diretta o anche soltanto indiziaria capaci di evidenziare l’esistenza di una relazione stretta ed anche reiterata nel tempo di Paolo Bellini con servizi segreti“. Le microspie registrano l’imputato mentre commenta: “Io coi servizi non c’ho mai avuto a che fare… e non ci voglio avere a che fare“. Gli inquirenti sottolineano che Bellini usa il presente: “Non ci voglio (adesso) avere a che fare”. A mettere in fila i legami tra l’imputato e l’intelligence sono proprio le motivazioni di quella sentenza. I giudici della corte d’Assise di Bologna ricordano “le coperture del Sid“, il vecchio servizio informazioni della Difesa, che aveva “protetto Bellini dopo l’omicidio di Alceste Campanile“. Ma i giudici ricordano anche che l’imputato fu protetto durante la latitanza, nel 1976, quando viveva con “una falsa identità – quella del fantomatico pilota brasiliano Roberto Da Silva – ma riusciva a ottenere permessi e licenze amministrative in modo rapido e senza reali controlli”. D’altra parte, c’è scritto sempre nella sentenza, il padre di Bellini, Aldo, aveva rapporti strettissimi col senatore del Msi Franco Mariani e con Ugo Sisti, procuratore di Bologna: “Soggetti entrambi aventi relazioni privilegiate con i servizi di sicurezza”, annotano i giudici. La corte ricorda anche i contatti tra i carabinieri e Bellini, che “con apparente disinvoltura esemplicità, a presentarsi come mediatore tra le istituzioni e la mafia siciliana, recandosi nel covo di Nino Gioè e di Giovanni Brusca ed arrivando persino a dare loro dei suggerimenti, tra e i quello di minacciare di colpire il patrimonio artistico”. A sentire Brusca, il boia di Capaci che poi diventerà pentito, a suggerire le stragi del 1993 sarebbe stato proprio Bellini. Il diretto interessato, però, ha sempre negato. Ora, per quelle bombe, è indagato.

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Paolo Bellini, le minacce al giudice che lo ha condannato: “Gliela chiudo io alla carriera”. E il “rancore” per la moglie che lo ha incastrato

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