L’inflazione cala a giugno al 6,4% dal 7,6% di maggio. L’Istat conferma la stima preliminare diffusa alla fine del mese scorso e ribadisce come si tratti di “una netta decelerazione” che continua a essere fortemente influenzata dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici in forte calo. L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, rallenta ulteriormente (da +6% a +5,6%). Prosegue anche la fase di rallentamento della crescita tendenziale dei prezzi del “carrello della spesa“, che a giugno è pari a +10,5%, poco meno rispetto al 10,7% della lettura preliminare. Una spinta arriva dai rialzi dei prezzi degli alimentari non lavorati (da +8,8% a +9,4%) mentre si attenua la crescita su base annua dei prezzi dei beni (da +9,3% a +7,5%) e, in misura minore, quella dei servizi (da +4,6% a +4,5%).

Su base mensile, l’inflazione a giugno ha una variazione nulla. Se infatti salgono i prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+1,2%) e dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,1%), per effetto anche di fattori legati alla stagionalità, e degli alimentari non lavorati (+0,8%), scendono gli energetici sia non regolamentati (-4,5%) sia regolamentati (-0,6%).

L’istituto di statistica fa anche il punto su quali siano state le fasce più colpite dal caro vita. “Nel secondo trimestre 2023 l’impatto dell’inflazione è più ampio sulle famiglie con minore capacità di spesa rispetto a quelle con livelli di spesa più elevati (+9,4% e +7,1% rispettivamente)”. Ma, magra consolazione, rispetto al trimestre precedente il rallentamento dell’inflazione è più marcato per il primo dei due gruppi”.

“Bene il calo, ma non basta. Il rallentamento dell’inflazione procede troppo a rilento dopo il ribasso del costo dell’energia che oramai dura da gennaio, oltre 6 mesi fa, e i ripetuti interventi della Bce“, commenta Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. “Una riduzione insoddisfacente, che lascia l’amaro in bocca. Ci troviamo, insomma, di fronte al solito problema della doppia velocità: le imprese sono subito pronte ad alzare i prezzi non appena salgono i costi di produzione ma ben più lente a farli scendere quando si inverte la rotta. Per una coppia con due figli, il +6,4% significa una stangata pari a 1.834 euro su base annua, di questi ben 846 servono solo per far fronte ai rincari dell’11% di cibo e bevande. Per una coppia con un figlio, la spesa aggiuntiva annua è pari a 1673 euro, 764 per mangiare e bere. In media per una famiglia la mazzata è di 1390 euro, 620 per prodotti alimentari e bevande analcoliche. Il primato alle famiglie numerose con più di 3 figli, gli unici ad avere ancora una batosta superiore a 2000 euro, 2068 per la precisione, 1010 solo per nutrirsi e dissetarsi”.

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