di Luisa Bizzotto

Paracelso diceva “Omnia venenum sunt: nec sine veneno quicquam existit. Dosis sola facit, ut venenum non fit”. Ovvero, è la dose che rende una sostanza velenosa. Alla luce di questo, andrebbe monitorata ogni cosa che entra in contatto con il nostro corpo. Di recente, infatti, è sorta una campagna contro il marchio emblema del fast-fashion Shein. Secondo le ultime analisi condotte dall’organizzazione Greenpeace Germania, la maggior parte dei capi della ditta cinese contiene sostanze chimiche pericolose. Tuttavia, il problema principale è rappresentato non solo dal loro contenuto ma anche dalla “dose”. Tali prodotti superano i livelli consentiti per legge.

Da cosa sono composte dunque queste sostanze e come si diffondono nel corpo?

Uno dei composti peggiori è caratterizzato dalla formaldeide, una delle più semplici aldeidi che a temperatura ambiente è un gas incolore. Questa sostanza, sempre seguendo il principio di Paracelso, può causare irritazione in mucose e occhi se supera concentrazioni nell’aria pari allo 0.1 ppm. Negli esperimenti conseguiti con i topi, un’esposizione ingente di questa aldeide può anche portare alla formazione di cancro a naso e gola. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il limite massimo di sostanza accettabile è pari a 100 microgrammi/metrocubo. La preoccupazione è talmente alta che secondo il Regolamento (Ue) N. 605/2014 la formaldeide è classificata dal 2016 come sostanza cancerogena.

Un’altra classe di molecole pericolose per l’uomo sono gli ftalati, sostanze poco solubili e per questo molto persistenti. Questi composti vengono in genere usati per rendere la plastica più maneggevole, tuttavia, sin dal 1999 è stata proibito che il loro contenuto superi lo 0.1%. Alcuni di queste molecole, infatti, può anche interagire con i recettori ormonali femminili sino a causare un abbassamento di testosterone. Dalle ultime ricerche emerge che alte dosi di acido ftalico possano addirittura compromettere fegato e reni.

Al giorno d’oggi quindi non basta solamente guardare il prezzo di un capo, ma conviene chiederci se l’acquisto che vogliamo fare abbia senso. Secondo gli studi condotti dall’Unione Europea, circa l’8% delle patologie dermatologiche è causata da ciò che indossiamo. Secondo alcuni dati, il tessile è la seconda industria più inquinante al mondo e non è la prima volta che Greenpeace cerca di sensibilizzare sul tema. Se si da un’occhiata al rapporto prodotto dall’Ue “Study on the Link Between Allergic Reactions and Chemicals in Textile Products” si scopre come la maggior parte delle reazioni allergiche siano causate proprio dai coloranti usati negli indumenti.

Il problema è persistente e riguarda soprattutto quelle aziende che non sono situate in Europa. Dal 2007, infatti, il Regolamento Reach sancisce i requisiti che produttori tessili, conciatori e calzaturieri sono tenuti a rispettare all’interno dell’Unione. Questo però non vale per quei capi che vengono prodotti all’estero per essere poi importati. Questo ci porta all’interno di un terreno scivoloso che non ci pone altra soluzione se non quella di analizzare e giudicare con spirito critico ciò che compriamo.

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