Il governo Meloni può, forse, al momento tirare un sospiro di sollievo dopo il chiarimento della Commissione Europea circa i fondi del Pnrr destinati agli asili nido. In un primo momento si era temuto che i finanziamenti fossero destinati solo alla costruzione di nuove strutture e non (come poi confermato) anche all’ampliamento di quelle già esistenti.

Pericolo scampato, per ora. Perché sugli stanziamenti destinati all’Italia la strada non sembra affatto in discesa e tra ritardi, mancati appuntamenti, la sensazione che il paese sia in perenne rincorsa e a corto di fiato sembra un dato di fatto a cui noi cittadini ci siamo assuefatti da tempo.

Chi non si piega sono le donne italiane che, da decenni ormai, – e nonostante slogan impolverati di un passato destrorso e rigurgiti di machismo mai sopiti -, hanno virato verso una policy zero kids. Insomma, di figli non ne vogliono e non ne fanno, benché gli scienziati del marketing del governo pro family facciano salti mortali per rendere appetibile il simulacro dell’angelo del focolare, sperando anche di fare leva sull’innato senso di incompiutezza (mai abbastanza mamme, magre, giovani, sexy, casalinghe, porche, caste) che la donna si porta con sé.

Ma i fatti parlano chiaro: il tasso di natalità è uno dei più bassi d’Europa, il più basso da quando l’Italia si è unificata, con una media di 1,24 figli per donna nel 2021 (dati Istat). La possibilità di avere una grande fetta della popolazione destinata ad estinguersi senza rinnovarsi nei prossimi decenni, con una grave carenza di forza lavoro, è più che reale.

E allora su quali spalle larghe caricare la responsabilità demografica, civica e sociale dell’Italia geriatrica, se non su quelle della Venere fattasi donna e portatrice di nuove generazioni di italiani. Tutti bianchi, ça va sans dire. Queste martiri del bene più alto, il bene comune, dovrebbero in essenza rispondere alla chiamata alle armi, pardon al concepimento, perché è l’Italia che glielo chiede. Tornare indietro nel tempo e rinunciare a tutti i passi in avanti, seppur piccoli e inadeguati rispetto al resto del mondo civilizzato.

L’Italia ha, infatti, il più basso tasso di occupazione femminile in Europa (20% in meno della Germania, tanto per dire) e, – per citare la Banca di Italia – le madri italiane che lavorano guadagnano solo la metà delle loro coetanee senza figli e paritetiche in competenze e salario d’ingresso.

Con uno scenario così sconfortante non è difficile capire perché una donna non se la senta di avere figli o al massimo averne uno, che con molta probabilità le limiterà la carriera quando non gliela castrerà tout court. Il problema è politico, sì, ma nasce altrove. Il problema in Italia è, ed è sempre stato, culturale.

La madre è la genitrice, ma anche la figura di riferimento nel mondo scolastico, della cura, delle attività collaterali. Andate a una riunione di classe, in sala d’attesa dal pediatra o fuori da una palestra di danza: provare per credere. La madre è colei che si immola per i figli, che si mette per ultima, che lascia il lavoro, che perde se stessa, perché un po’ ce l’abbiamo dentro e un po’ ci hanno convinte.

È tanto struggente quanto patetico. Questa dolorosa rinuncia al mondo racchiude tutto il bello di ciò che le donne possono fare. Indomite nel dedicare la vita agli altri, in silenzio, senza aspettarsi plausi.

C’è, tuttavia, nell’abnegazione qualcosa di patetico perché è un destino autoinflitto. Propendiamo per una vita kamikaze anche perché ottusamente inclini a scegliere compagni di vita che, una volta lanciato il sasso, girandoci, si sono dileguati. Nascosti nel confortevole agio di un posto in prima fila, full benefits. E noi lì, a fornir loro tutte le attenuanti del caso. È sorprendente vedere come anche le donne più emancipate, progressiste e femministe riescano sempre a trovare una scusante per l’assenza del proprio uomo, genitore anch’egli al 50% come loro.

Le donne hanno sempre combattuto per i diritti di tutti, non solo i propri: per i neri, i gay, gli immigrati, i lavoratori, gli ultimi della terra, indipendentemente dal loro sesso. Perché erano battaglie giuste, nobili.

Non c’è (solo) bisogno che gli uomini scendano in piazza, c’è bisogno che facciano qualcosa di sinistra, anche se D’Alema non c’è più al governo… C’è bisogno che scendano dal trono di cui si sono arbitrariamente appropriati e diano prova di coraggio. Non di quel coraggio che mostra i muscoli, ma di quello che non teme il cambiamento, anche se impopolare e svantaggioso. Il coraggio di risalire il fiume controcorrente, moto di ribellione che noi donne conosciamo bene, da sempre.

Ben vengano più asili nido e un rafforzamento del tessuto sociale, ma senza un reale contributo fisico e morale, pratico e umano degli uomini, le donne giocano ancora con un mazzo di carte truccato.

E c’è proprio poco che Dio, Patria e Famiglia possano fare per fargli continuare la mano.

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