“Truccavano” il tonno, aggiungendo additivi “non consentiti” per “esaltarne aspetto e colore”. Ma, di fatto, lo rendevano “nocivo” per la salute. Tanto da aver provocato oltre trenta intossicazioni alimentari. A fermare la presunta associazione a delinquere sono stati i Nas di Bari, coordinati dalla procura di Trani, al termine di un’inchiesta che conta 18 indagati tra titolari e dipendenti di due aziende ittiche di Bisceglie, di un laboratoro di Avellino e di una società di consulenza. Si tratta della Ittica Zu Pietro Srl e della Izp processing, del laboratorio Innovatio Srl e della società di consulenza Studio summit Srl.

Su ordine del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani in 12 sono finiti agli arresti – 5 in carcere e 7 ai domiciliari – mentre gli altri sei sono stati raggiunti da provvedimenti che prevedono il divieto e l’obbligo di dimora. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata all’adulterazione di sostanze alimentari, frode e falso inerenti l’attività di produzione e commercio di prodotti ittici in tutto il paese.

L’inchiesta dei magistrati tranesi è partita da una decina di segnalazioni di intossicazioni alimentari riscontrate in diverse province, tra le quali una nel Brindisino, a Fasano, legata al consumo di tonno a pinne gialle: il pesce sarebbe stato “decongelato e adulterato con sostanze non consentite”, in particolare nitriti e nitrati, “per esaltarne l’aspetto e il colore, ma rendendolo di fatto nocivo per la salute dei consumatori”. Intossicazioni alimentari sono state accertate anche a Firenze, Lavagna, Benevento, Bisceglie, Bitonto, Pescara e Teramo per un totale di 38 casi. Alcuni degli intossicati, ha spiegato il procuratore di Trani Renato Nitti, “sono finiti in rianimazione o in terapia intensiva”.

I laboratori addetti alle analisi dei prodotti venduti dall’azienda di Bisceglie, coinvolti nella frode, mancavano, ad avviso degli inquirenti, di segnalare la presenza degli additivi non consentiti. Nel settembre 2021, in un’intercettazione, una dipendente della società di certificazione coinvolta dice: “Me li sogno la notte i cristiani che si sentono male. Nessuno ci ha lasciato le penne solo per grazia del Signore: non mangiare pesce crudo”. Secondo il procuratore, lo stralcio della conversazione dimostra che tra i dipendenti del laboratorio di analisi “vi è la volontà di scremare i dati o di ometterli”, per “massimizzare il volume di affari viste le centinaia di chili di prodotto adulterato commercializzato in tutta Italia”.

Le indagini hanno consentito di verificare il modus operandi degli indagati grazie a nove decreti di perquisizione eseguiti nel maggio dello scorso anno in collaborazione con i Nas di Napoli, Salerno, Campobasso, Taranto e Foggia. Attraverso le intercettazioni telefoniche, gli inquirenti ritengono di aver anche accertato che gli indagati avrebbero messo in commercio ingenti quantitativi di salmone congelato che veniva venduto come fresco, di preparazioni a base di pesce lavorate in un’altra loro azienda, utilizzando prodotti ittici scaduti, mentre, in un caso, anche una partita di tonno, in stato di alterazione e pericolosa per la salute, perché contaminata con alti livelli di istamina, un composto azotato ampiamente diffuso nell’organismo ma che, se ingerito in grossi quantitativi, può provocare gravi reazioni, simili a quelli di un’allergia alimentare.

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