di Paolo di Falco

Disinteresse, indifferenza, scarsa voglia di impegnarsi: sono queste le parole che vengono in mente quando si parla per luoghi comuni del rapporto tra giovani e politica. Spesso è più comodo scaricare le responsabilità su di noi, su una generazione sempre attaccata al proprio smartphone, piuttosto che su una classe politica, guardando ai parlamentari nostrani dell’attuale legislatura, che si attesta su un’età media di 51,2 anni.

Per farci un’idea basti pensare che tra i banchi di Montecitorio sono presenti solamente quattro under 30 mentre gli under 40 sono appena 65 su 400: il 16,2%. Numeri che sicuramente non riflettono i tanti ragazzi e ragazze che, a discapito del pensare comune, cercano di fare politica non solo attraverso il loro attivismo sui social ma anche attraverso quello nei territori fatto di volantinaggio e, per i più fortunati, anche di fumose riunioni di partito dove si parla di tutto e di niente allo stesso tempo.

Se i giovani sono buoni per attaccare manifesti forse però non sono degni di esseri candidati a causa della loro scarsa esperienza che, paradossalmente, fin quando non li si candiderà non potranno mai accumulare: nelle elezioni nazionali dello scorso 25 settembre, secondo i dati di Openpolis, sui quasi cinquemila candidati e candidate solo il 15% aveva meno di 40 anni e addirittura meno del 3% era un under 30.

Buoni per riempiere scuole politiche e giovanili, la nostra classe politica si accontenterebbe di trasformare i giovani, che vorrebbero più incarichi di responsabilità all’interno dei propri partiti, in ragazzi immagine da sbandierare un selfie dopo l’altro sui social. Il trattamento non migliora per ragazzi e ragazze distanti dalla politica trasformati solamente in un target da raggiungere, anche a prezzo di fare gli imbecilli su TikTok, con l’illusione che basti questo per stappare loro un voto senza curarsi affatto di proporre politiche pensate per loro.

E l’esempio lampante a conferma di questo è arrivato qualche settimana fa, quando il Governo ha posto la questione di fiducia sul decreto Pubblica Amministrazione dove, come riportato dal Segretariato Italiano Giovani Medici, è stato inserito un comma che prevede la possibilità per tutti i dirigenti pubblici di mantenere, nonostante siano giunti all’età pensionabile, il proprio incarico sino al 31 dicembre 2026. Dimostrazione di un ricambio generazionale che, letteralmente, va a farsi benedire.

Nonostante la scarsa considerazione della politica nei confronti dei giovani c’è però qualche esempio di buona pratica, ed è il caso dell’associazione 20e30: nata da un hashtag sui social durante la campagna elettorale del 2022, è riuscita a raccogliere oltre cinquemila istanze programmatiche provenienti direttamente dai diretti interessati. Attività che è continuata dopo le elezioni con l’obiettivo di dimostrare come ai giovani tutt’ora interessa la politica di cui però non apprezzano i modi.

Questo, in sintesi, è anche il messaggio del loro primo report Le Richieste dei giovani alla politica: stato dell’arte dopo i primi sei mesi di Legislatura, che sarà presentato il 7 luglio alla Camera dei Deputati e all’interno del quale si sottolinea l’esistenza di forme alternative di partecipazione alla vita politica incentrate non sull’ossessiva ricerca di consenso ma sulla pianificazione di strategie per garantire un futuro sostenibile alle nuove generazioni. Chissà se, almeno questa volta, la politica si fermerà ad ascoltare o preferirà fare orecchie da mercante in modo da continuare ad addossare colpe senza prendersi nessun tipo di responsabilità.

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