“Ho voluto prestare ascolto al grido di pace, che viene soprattutto dall’Ucraina dove tuttora non è facilmente prevedibile una soluzione pacifica del conflitto determinato dall’invasione russa. La distanza da una pace possibile obbliga ancor di più ad ascoltare e prendere sul serio le voci che anelano o chiedono la fine della guerra in Ucraina. E sono voci anche di persone che hanno lasciato il Paese e vivono da profughi accanto a noi”. Lo scrive Andrea Riccardi nel suo libro Il grido della pace (San Paolo) che esce in libreria proprio mentre il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, ha concluso il suo viaggio a Mosca, dopo quello a Kiev, per la missione di pace affidatagli da Papa Francesco.

Il porporato è un autorevolissimo esponente della Comunità di Sant’Egidio, fondata nel 1968 proprio da Riccardi e oggi presieduta da Marco Impagliazzo. Nel 1990 Riccardi e Zuppi svolsero il ruolo di mediatori nelle trattative tra il governo del Mozambico, all’epoca controllato dai socialisti del Fronte di Liberazione del Mozambico, e il partito di Resistenza Nazionale Mozambicana, impegnati dal 1975 in una sanguinosa guerra civile. La mediazione portò, il 4 ottobre 1992, nel giorno della festa di san Francesco d’Assisi, dopo ventisette mesi di trattative, alla firma degli accordi di pace di Roma che sancirono la fine delle ostilità. Per questo motivo, la Comunità di Sant’Egidio è anche chiamata l’Onu di Trastevere, quartiere romano dove è nata e dove ha la sede principale.

Sarà proprio Zuppi, il 4 luglio, a presentare il libro di Riccardi e a tracciare così pubblicamente un bilancio della sua recente missione in Russia. “I risultati della visita – come ha precisato un comunicato della Santa Sede – saranno portati alla conoscenza del Santo Padre, in vista di ulteriori passi da compiere, sia a livello umanitario che nella ricerca di percorsi per la pace”. Il viaggio a Mosca, come ha ribadito il Vaticano, era finalizzato “all’individuazione di iniziative umanitarie, che possano aprire percorsi per il raggiungimento della pace”. Prima di tornare in Italia, Zuppi ha avuto un secondo colloquio con Yuri Ushakov, assistente del presidente russo Vladimir Putin per gli affari di politica estera. La questione umanitaria, soprattutto in merito ai bambini ucraini deportati in Russia, è stata centrale nei due confronti con il consigliere del Cremlino. Una missione chiesta direttamente dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, a Bergoglio nell’udienza privata svoltasi in Vaticano il 13 maggio 2023.

“Con il prolungarsi del conflitto in Ucraina – sottolinea Riccardi nel libro – la pace è sempre più lontana; si rischia il coinvolgimento di altri Paesi e resta incombente la minaccia atomica”. E aggiunge: “L’Occidente non lascerà vincere la Russia, ma gli ucraini non potranno sconfiggere Mosca. In questo stallo, l’effetto probabile è l’eternizzazione della guerra”. Oltre che in Mozambico, Riccardi ha avuto un ruolo di mediazione in diversi conflitti e ha contribuito al raggiungimento della pace in Guatemala, Costa d’Avorio, Guinea e altri Paesi. Storico, ministro per la Cooperazione internazionale e l’integrazione del governo di Mario Monti e attualmente presidente della Società Dante Alighieri, la sua voce autorevole è molto ascoltata non solo nella stretta geografia cattolica. “A che serve – si domanda nel suo volume – parlare delle guerre in corso? Cosa possiamo fare noi? Il senso d’impotenza genera indifferenza e la giustifica”. E aggiunge: “Questo libro, partendo dalla guerra in Ucraina, che vede in primo piano l’attacco di una potenza atomica come la Russia, vuole prendere sul serio il grido di dolore e le domande di pace che vengono da un Paese martoriato nel cuore della vecchia Europa. Non si dimenticano tuttavia le guerre in atto altrove, come quella in Siria, drammatico precedente di quella in Ucraina e non senza legami con essa”.

Riccardi, inoltre, sottolinea che “i drammi della guerra si scaricano, seppur in modo parziale, sui vicini o sul resto del mondo. Basta pensare all’epocale problema dell’accoglienza dei profughi. Ma non solo. Lo si è visto anche con la penuria alimentare e la crisi economica dopo la guerra russo-ucraina, che ha toccato tanti Paesi, pur lontani geograficamente. Nel mondo globale quasi tutto si comunica”. Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio ricorda anche che “l’accettazione passiva della guerra o la sua riabilitazione come strumento politico è espressione di una coscienza che si è allontanata dalla lezione della storia del Novecento, la quale aveva portato, fin dai testi costituzionali di vari Paesi, al ripudio di essa, al diffuso senso di orrore per la violenza dei conflitti”. E aggiunge: “La storia è piena di sorprese. E la più grande sorpresa è la pace. Il XXI secolo non può e non deve essere destinato alla guerra”.

Parole in totale sintonia con Francesco che, parlando recentemente alla delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli inviata a Roma per la solennità dei santi Pietro e Paolo, ha affermato: “Il clima di questo incontro ci porta così anche a condividere delle preoccupazioni; una su tutte, quella per la pace, specialmente nella martoriata Ucraina. È una guerra che, toccandoci più da vicino, ci mostra come in realtà tutte le guerre sono solo dei disastri, dei disastri totali: per i popoli e per le famiglie, per i bambini e per gli anziani, per le persone costrette a lasciare il loro Paese, per le città e i villaggi, e per il creato, come abbiamo visto recentemente a seguito della distruzione della diga di Nova Kakhovka”.

“Come discepoli di Cristo, – ha ribadito il Papa – non possiamo rassegnarci alla guerra, ma abbiamo il dovere di lavorare insieme per la pace. La tragica realtà di questa guerra che sembra non avere fine esige da tutti un comune sforzo creativo per immaginare e realizzare percorsi di pace, verso una pace giusta e stabile. Certamente, la pace non è una realtà che possiamo raggiungere da soli, ma è in primo luogo un dono del Signore. Tuttavia, si tratta di un dono che richiede un atteggiamento corrispondente da parte dell’essere umano, e soprattutto del credente, il quale deve partecipare all’opera pacificatrice di Dio”.

È universalmente noto quanto Francesco, fin dalla vigilia della guerra in Ucraina, si sia speso inizialmente per scongiurarla e poi per fermarla il prima possibile, percorrendo una duplice strada: diplomatica e umanitaria. Invitando sempre i fedeli a “non stancarci di pregare per la pace, specialmente per il popolo ucraino, che è ogni giorno nel mio cuore”. Da qui, la conclusione di Riccardi: “La pace è perduta in Ucraina e in altri Paesi. La guerra è il presente. Ma la pace di cui godiamo ancora in una parte del mondo, ci consente la solidarietà con chi è aggredito, anzi ci obbliga – io credo – a pensare nuovamente alla pace, perché la guerra non distrugga questo friabile mondo globale o sia il futuro delle prossime generazioni. Pensare la pace vuol dire far crescere una coscienza di pace, perché l’opinione pubblica sia libera e attenta, non prigioniera di semplificazioni. Perché la guerra non ci domini con la sua logica spietata che non si riesce a interrompere. Perché la pace non può essere perduta troppo a lungo. Per responsabilità verso chi è lacerato dalla guerra. Ma anche – non dimentichiamolo – perché in questo mondo globale e interconnesso, tutto si comunica. Così la guerra, come la pace. Ragionare, riflettere con diverse opinioni su tutto questo, non è perdita di tempo, ma preparazione di tempi migliori”. La strategia attuata da Francesco.

Twitter: @FrancescoGrana

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