Una paziente dell’Ulss 3 Serenissima di Venezia, residente a Mestre, avrebbe dovuto svolgere entro dieci giorni una serie complessa di esami diagnostici, tra cui una Tac. Scaduto il termine si è rivolta a una struttura privata, pagando 730 euro anziché il solo ticket: così ha deciso di scrivere alla Regione Veneto e alla direzione dell’azienda sanitaria chiedendo un risarcimento. “Non mi hanno nemmeno risposto e non si può dire che il mio fosse un intervento di chirurgia plastica. Erano esami prescritti da uno specialista”, dice. Dall’Ulss, per il momento, è arrivata una dichiarazione interlocutoria che conferma l’avvio di un’istruttoria interna per verificare la fondatezza della denuncia: “In questi casi si verifica innanzitutto la correttezza del percorso seguito dall’utente nella richiesta al Cup (centro unico di prenotazione, ndr) e nella successiva scelta di rivolgersi altrove. Poi si verifica l’appropriatezza delle prescrizioni del medico e la reale urgenza delle stesse. Una verifica viene svolta anche con gli uffici amministrativi, prima di valutare la risposta da dare all’utente”.

Il caso, raccontato dal quotidiano La Nuova Venezia, è solo la punta dell’iceberg di una situazione più ampia che riguarda la gestione della sanità veneta, che pure è ai primi posti nelle classifiche di eccellenza. Nei giorni scorsi uno studio di Cgil, Cisl e Uil ha presentato i risultati dell’analisi di oltre tremila questionari distribuiti tra gli iscritti nel periodo 24 marzo-2 maggio 2023. Dalle risposte emerge che per il 70% degli intervistati prenotare risulta un’impresa quasi impossibile. Dalla ricerca, curata da Chiara Gargiulo, risulta che ben 2.107 cittadini non sono riusciti a prenotare subito una visita o un esame quando hanno contattato i Cup delle Ulss venete. In 1.586 si sono sentiti rispondere dal centralino che sarebbero stati richiamati, ma solo il 43% ha ricevuto effettivamente una telefonata. I fortunati che hanno prenotato al primo tentativo sono stati 940 (pari al 31 per cento del totale), eppure solo il 59% di questi ha detto che i tempi (escluse le urgenze) sono stati rispettati. Degli altri, sono 861 quelli che hanno accettato una prenotazione a pagamento nella stessa struttura ospedaliera oppure presso centri e cliniche private. Basta pagare, infatti, e le disponibilità per visite ed esami si trovano in tempi anche rapidissimi.

“Circa il 60% di quanti non sono riusciti a prenotare sono rimasti in attesa di essere richiamati o hanno rinunciato alla prestazione. Non sappiamo con certezza chi ha rinunciato a curarsi, ma certamente una parte c’è”, denunciano i sindacati. Su questo fenomeno incidono anche le proposte di esami da effettuare in ospedali lontani dal luogo di residenza, che creano problemi e ulteriori costi soprattutto per chi non ha un mezzo di trasporto autonomo. Elena Di Gregorio, segretaria dello Spi Cgil, ricorda che “il cittadino che si rivolge alla sanità a pagamento, perché il servizio pubblico non gli garantisce la prestazione nei termini previsti dalla prescrizione medica, ha diritto a un rimborso”. “L’indagine sulle liste d’attesa conferma uno scenario evidente da tempo, di cui solo il governatore Luca Zaia e i suoi non vogliono ammettere l’esistenza. Un numero crescente di utenti, bisognosi di accertamenti in tempi certi, si rivolge al privato. Una situazione incivile”, commenta Anna Maria Bigon, consigliera regionale dem e vicepresidente della Commissione Sanità.

Come può difendersi il cittadino? “La prima contromisura è quella di far valere i propri diritti: la normativa stabilisce che le priorità indicate dal medico curante nell’impegnativa debbano essere rispettate, e se così non fosse, è diritto chiedere con una semplice istanza alla direzione della propria Ulss che la prestazione venga resa in attività libero-professionale intramuraria, senza costi aggiuntivi”. Inoltre la giunta regionale potrebbe stanziare fondi per ottenere “pacchetti di prestazioni libero-professionali intramurarie”, accontentando sia i pazienti che i medici o sanitari pubblici che avrebbero un riconoscimento economico, dice Bigon. Il direttore generale della sanità veneta, Massimo Annicchiarico, ha comunicato ai sindacati che le richieste inserite nelle “liste di galleggiamento” ( sono attualmente 246.687, annunciando un piano per esaurirle entro fine anno.

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