Lo stop è arrivato quasi nel silenzio. Eppure nei mesi scorsi non erano mancate le polemiche, le proteste, le accuse. I consiglieri regionali siciliani hanno bloccato il meccanismo che aveva fatto aumentare i loro stipendi di quasi 900 euro al mese. Da quest’anno, fino alla fine della legislatura, non potrà più accadere.

L’aumento – Le polemiche, si diceva, erano esplose a febbraio. In occasione dell’approvazione del bilancio interno dell’Assemblea regionale, ecco la cifra “lievitare” sensibilmente. Era quella destinata alle retribuzioni dei consiglieri regionali. Stipendi già più che dignitosi pari a circa 11.100 euro lordi. Stipendi che però sono cresciuti, in modo automatico, grazie a una norma del 2014. Si tratta della legge con la quale l’Assemblea regionale siciliana aveva recepito il Decreto Monti sui costi della politica. Proprio in quell’occasione, infatti, era stato previsto un comma che prevedeva l’automatica rivalutazione degli stipendi sulla base dei valori Istat. Aumenti di scarsa entità per molti anni, ma che si sono impennati proprio nel 2023, quando l’inflazione è esplosa.

Le polemiche – E così, i consiglieri regionali si sono ritrovati con uno stipendio più “pesante” di circa 890 euro lordi mensili. Un ritocco approvato a febbraio in un primo momento senza particolari proteste. È bastato però che la notizia finisse sui giornali per innescare una serie di accuse incrociate tra forze politiche e una corsa a “mettere una pezza” con promesse e annunci di emendamenti, disegni di legge, ordini del giorno.

Oggi – Nulla era cambiato, però, fino a oggi, quando in Aula è arrivato un emendamento al cosiddetto “collegato” alla Finanziaria. Un testo molto breve: “Fino alla conclusione della XVIII legislatura – si legge – non trova applicazione l’adeguamento di cui al comma 2 dell’articolo 2 della legge regionale 4 gennaio 2014, n. 1, calcolato con riferimento alla variazione dell’indice Istat del costo della vita relativa agli anni successivi al 2022″. Insomma, da quest’anno nessuna rivalutazione. L’ultimo aumento, per questa legislatura, resterà quello di febbraio. Rischioso provare a intervenire anche sul pregresso: sarebbe arrivata una pioggia di ricorsi per difendere un diritto sancito, nel bene e nel male, da una norma.

Il presidente dell’Ars: “Un primo passo” – “Si tratta di un primo passo, spero che ne faremo altri”. Le parole sono del presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, esponente di Fdi molto vicino a Ignazio La Russa. E i “passi” di cui parla sono quelli che dovrebbero riavvicinare la politica alle persone. “Sia chiaro – puntualizza – il merito della decisione di oggi non è mio, ma è di tutti i parlamentari, di tutti i colori politici. Abbiamo deciso di intervenire – prosegue – in un momento in cui non c’era una particolare pressione mediatica, in assoluta sintonia si è trovata una soluzione. L’emendamento infatti è stato votato all’unanimità”. Come detto, però, la norma ha una precisa scadenza: con la fine della legislatura, tornerà automaticamente in vita il contestato adeguamento: “Cosa vorrà fare il prossimo parlamento – dice Galvagno – si vedrà a suo tempo. Se vorrà mantenere la sospensione, come si fa alla Camera e al Senato, oppure no sarà una decisione di chi verrà. Ma non ha senso pensarci oggi: l’Assemblea aveva un obiettivo, quello di bloccare gli aumenti degli stipendi, e quell’obiettivo è stato centrato”. Fino alla fine della legislatura, stop ai ritocchi automatici.

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