Giuseppe Vezzani oggi ha 55 anni ed è stato sindaco di Brescello per dieci anni, dal 2004 al 2014. In precedenza, era stato per cinque anni assessore all’Urbanistica e ai Lavori pubblici nella giunta guidata dall’avvocato Ermes Coffrini. Il figlio di Ermes, Marcello Coffrini, di tre anni più giovane di Vezzani, è stato sindaco solamente dal 2014 al 2016, quando il Comune in provincia di Reggio Emilia subì l’onta del commissariamento deciso dal governo per infiltrazioni mafiose. Aveva però già lavorato a stretto contatto con Vezzani almeno dal 2008 al 2014, con il ruolo di assessore alla Cultura e alla Protezione Civile prima, di assessore all’Urbanistica, Edilizia privata, Ambiente, Sicurezza e Commercio poi. Dodici anni di continuità politica alla guida della lista civica “Insieme per Brescello”, nata come costola del Pds, nelle cui fila (e nel Pci da cui la Quercia derivava) Ermes Coffrini, avvocato e primo cittadino dal 1995 al 2004, aveva militato offrendo (o ottenendo) la propria consulenza legale e amministrativa a pressoché tutti i Comuni della provincia.

Oggi a Vezzani e Coffrini figlio è stato notificato l’avviso di conclusione indagini per concorso esterno in associazione mafiosa. La Direzione distrettuale antimafia di Bologna li accusa di avere, in concorso tra loro, svolto i propri doveri di amministratori pubblici non nell’interesse della comunità e dei cittadini di Brescello, ma nell’interesse “del sodalizio mafioso o di alcuni suoi esponenti di vertice”, contribuendo al rafforzamento e all’espansione sul territorio comunale della cosca emiliana di ‘ndrangheta. A partire da Francesco Grande Aracri, fratello anziano del boss di Cutro Nicolino, già condannato per estorsione nel 1992, poi per mafia nel procedimento “Edilpiovra” in via definitiva e recentemente anche nel processo “Grimilde”. Quel Francesco che proprio lo studio legale dei sindaci Coffrini aveva difeso, davanti al Tar della Calabria, nel lungo contenzioso sugli immobili nel parco archeologico di Capo Colonna, in provincia di Crotone, costruiti abusivamente dalla famiglia Grande Aracri.

Dice la Dda di Bologna che deliberatamente i due sindaci non hanno mai preso alcuna iniziativa, durante i rispettivi mandati, per tentare di contrastare l’abusivismo edilizio praticato nel comune da noti esponenti della cosca. Mai hanno collaborato con la Polizia municipale o con l’ufficio tecnico per porre un freno agli abusi: anzi, hanno consentito e sostenuto l’affidamento di lavori pubblici a ditte riconducibili alla ‘ndrangheta o in mano a soggetti legati alla cosca. Operavano e guidavano le scelte dell’ente locale in palese contrasto con il Codice degli appalti pubblici, appoggiando le pratiche amministrative e gli interventi urbanistici proposti dagli stessi soggetti, ai quali riservavano corsie preferenziali nell’assegnazione di immobili e incarichi lavorativi. E lo facevano – questa è l’accusa più pesante – per tutelare gli interessi della cosca e dei suoi uomini di vertice, per rafforzarli, per consentire loro l’affermazione e l’espansione nel territorio di Brescello, per dipingerli come soggetti puliti e per bene, da integrare nel contesto della vita civile e imprenditoriale del paese. Stiamo parlando di personaggi come Alfonso Diletto, già arrestato per usura nel 2004 e poi condannato definitivamente inel processo “Aemilia” come uno dei capi della cosca insediata in provincia. Di Salvatore e Paolo Grande Aracri, figli di Francesco condannati in Grimilde. Degli amici e soci e parenti a loro collegati. In cambio c’era il bacino di voti, non solo calabresi, garantiti dalla cosca alla lista elettorale “Insieme per Brescello”, guidata dai sindaci che chiudevano un occhio e anche due davanti alle forzature e agli abusi.

Tra i fatti specifici contestati a Vezzani e Coffrini c’è la variante urbanistica al Piano regolatore che ha consentito la nascita del quartiere denominato Cutrello, dove hanno fatto affari diverse famiglie di ‘ndrangheta alle spalle dell’ente pubblico. C’è l’occupazione abusiva da parte dei Grande Aracri di un’area demaniale che il Comune non ha mai contestato, nonostante le segnalazioni della Provincia. Ci sono la concessione di modifiche urbanistiche in spregio dei vincoli ambientali, gli alloggi gratuiti assegnati a chi non possedeva i titoli per averli, le varianti che consentivano a società immobiliari guadagni esagerati, l’assunzione di parenti per incarichi pubblici. Il tutto a vantaggio delle famiglie e delle imprese legate alla ‘ndrangheta di Brescello. E c’è la negazione del problema; il ripetuto slogan “la mafia non esiste” o, se esiste, “non dimora certo a Brescello”, che entrambi i sindaci hanno ripetuto a ogni occasione. A partire dalla celebre video intervista dell’associazione Cortocircuito nella quale il sindaco Coffrini si sprecava in elogi verso il capomafia Francesco Grande Aracri e lo salutava cordialmente. Le conclusioni della sostituta procuratrice antimafia Beatrice Ronchi (già pm nei processi Aemilia, Grimilde, Perseverance e Omicidi 1992) tolgono spazio ai dubbi del “possibile rischio” di infiltrazione mafiosa nell’Ente Pubblico. I due sindaci, dice la magistrata, praticavano “un sistematico asservimento dei propri incarichi e del proprio ruolo politico agli interessi della ‘ndrangheta, e contribuivano concretamente alla realizzazione degli scopi del sodalizio”.

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