L’ingegnere piemontese Giovanni Pamio, responsabile dello sviluppo dei motori diesel Audi, è stato il primo a dover pagare in Germania per gli scarichi truccati, con quasi cinque mesi di carcere preventivo. Martedì, dopo 172 udienze e la pronuncia per oltre sei ore del dispositivo della sentenza, si è concluso anche per lui il processo. L’esito: una condanna a 1 anno e 9 mesi, sospesa con la condizionale per tre anni, ed una multa di 50mila euro. I giudici della Grande camera per i reati finanziari della seconda sezione penale del Tribunale di Monaco di Baviera, presieduta dal giudice Stefan Weickert, hanno considerato favorevolmente che ha ammesso presto le sue colpe, contribuendo a fare chiarezza. È stato il solo imputato ad indirizzarsi alla fine alla Corte chiedendo formalmente scusa.

Condanna più pesante invece per il dirigente sviluppo aggregati Audi ed ex membro del consiglio di amministrazione di Porsche Wolfgang Hatz, 2 anni, pur sospesi con la condizionale, e una multa di 400 mila euro. La Procura avrebbe voluto una condanna a 3 anni e 2 mesi. Anche Hatz era stato in carcere preventivo da fine settembre 2017 a giugno 2018.

Entrambi hanno dovuto ammettere responsabilità per aver contribuito a immettere sul mercato 94.924 auto in Germania e Stati Uniti, tra il 2009 e il 2015, con scarichi in esercizio maggiori di quelli che emergevano al banco di prova. Risultanti, per la Corte, in un danno di 2,3 miliardi di euro. Una cifra alta – anche se comunque inferiore a quella ipotizzata dall’accusa – perché i veicoli venduti negli Usa per disposizioni americane non erano ammodernabili con un nuovo software e valevano solo come rottami. La Corte ha valutato positivamente che nessuno degli imputati ha agito per arricchimento personale, escludendo benefit legati a target di successo. A loro carico sono tuttavia pesati l’entità dei danni, anche ambientali.

L’Adblue era la miscela magica che avrebbe dovuto neutralizzare gli scarichi rendendo il diesel Audi “il più pulito al mondo”. All’avvio del processo l’ingegner Pamio aveva insistito dicendo di essersi sempre impegnato proprio per realizzare motori puliti. Furono altri dipartimenti che imposero i software che truccavano le emissioni. Non provò però a chiarire perché, vedendo che gli imponevano una procedura che non lo trovava d’accordo, non si fosse licenziato.

Fu Wolfgang Hatz a portare l’ingegner Pamio in Audi dopo averlo apprezzato lavorando con lui in Italia, ma in aula ha negato i rapporti di amicizia. L’ingegnere piemontese è rimasto amareggiato per questo comportamento e ha mostrato in aula foto di Hatz suo ospite al mare e pure di una bottiglia di liquore pregiato ricevuta in regalo.

Già da tempo era stata stralciata invece la posizione del project manager Audi Henning Lörch che diventò testimone chiave per l’accusa con il risultato che ha dovuto pagare una multa. Gravano, comunque, anche su di lui i costi processuali di oltre 1 milione e onorari per migliaia di ore degli avvocati, tanto che il suo legale ha dichiarato che è sulla soglia dell’insolvenza.

Dopo 2 anni e 9 mesi di processo, l’escussione di circa 190 testimoni e la disamina di molteplici perizie e documenti, anche l’ex amministratore delegato del gruppo Audi Rupert Stadler è stato condannato. Un anno e nove mesi con la condizionale ed il pagamento di 1,1 milioni di multa, oltre la metà allo Stato ed il resto ad associazioni benefiche. La Corte ha considerato che con la confessione è il primo capo di un’azienda automobilistica a prendersi le responsabilità per le sue mancanze. Per quasi tutto il processo si era dipinto come vittima estranea di manipolazioni altrui, ma alla fine ha ammesso 17.177 casi di tuffa per non aver impedito, dopo essere venuto a conoscenza almeno a metà giugno 2016 della presenza sulle vetture di un software di manipolazione degli scarichi, la loro vendita in Germania. Un danno calcolato nel 5% del valore di acquisto, pari complessivamente a 41 milioni di euro. Aveva scontato 4 mesi e mezzo di carcere preventivo (metà giugno a fine ottobre 2018) e per effetto della condanna, oltre a sopportare i costi processuali, perde premi che dovevano ancora essergli liquidati dal gruppo Volkswagen.

I giudici hanno comunque escluso per tutti gli imputati le accuse di attestazioni false e pubblicità ingannevole. Dopo il giudizio, ancora appellabile per una settimana, resta sospesa la tesi che la politica abbia avuto un concorso di colpa, imponendo tetti rigidi e rapidi all’industria automobilistica l’ha indotta al cambio di paradigma: anziché fare funzionare il motore al banco di prova come su strada, farlo andare su strada come al banco di prova. Se però la politica non fosse intervenuta, l’industria non avrebbe mai volontariamente introdotto alcuna miglioria agli scappamenti. Lo scandalo per i motori diesel truccati scoppiato nel settembre 2015 negli Usa e poi estesosi in Ue è già costato solo al gruppo Volkswagen oltre 30 miliardi di euro. Cifra che potrebbe elevarsi ancora in seguito alla decisione con cui, seguendo il precedente della Corte di Giustizia europea di marzo, la Cassazione tedesca ha riveduto la sua giurisprudenza. Ha dichiarato lunedì Volkswagen, Audi e Mercedes responsabili anche solo per negligenza prevedendo un risarcimento dal 5% al 15% del valore, eventualmente diminuito di una percentuale di uso della vettura, per i veicoli diesel con finestre termiche che riducono, o spengono, i sistemi di pulizia degli scarichi. Nei circa 100mila casi pendenti, gli acquirenti dovranno ora solo provare l’esistenza dei dispostivi. Sarà invece onere dei costruttori dimostrare assenza di negligenza e che questi dispositivi erano per evitare danni al motore.

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