“Io mi aspettavo che si mettessero in campo tutte le misure atte a garantire la sicurezza: le modalità non erano decise a livello politico. Le risorse per una vigilanza capillare non erano sufficienti, ma ero convinto che delle verifiche a campione venissero eseguite. Però era solo il mio pensiero, perché non rientrava nella mia competenza verificare che fossero effettivamente eseguite”. Lo ha detto il senatore del Pd Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti dal 2015 al 2018, sentito come testimone nel processo in corso a Genova per il disastro del ponte Morandi. L’ex capogruppo dem alla Camera è uno dei testi più prestigiosi chiamati a deporre dalla Procura, che l’aveva già ascoltato nel corso delle indagini a proposito dei controlli (o meglio, dei mancati controlli) svolti dal Mit sul rispetto degli obblighi di manutenzione da parte di Autostrade per l’Italia, che ha in gestione il tratto crollato il 14 agosto 2018. I due direttori generali per la vigilanza sulle concessionarie succedutisi sotto il mandato di Delrio, Mauro Coletta e Vincenzo Cinelli, sono tra i 59 imputati. “La sicurezza e la manutenzione sono state sempre obiettivi primari del ministero, come indicato anche dagli obiettivi strategici che negli anni in cui sono stato ministro ho predisposto”, ha rivendicato il senatore. Fuori dall’aula però è stato contestato da Giovanna Donato, ex moglie di Andrea Cerulli, una delle 43 vittime del crollo (video): “La priorità era la sicurezza? Peccato che è crollato proprio perché non è stata curata la sicurezza”.

Rispondendo alle domande dei pm Marco Airoldi e Walter Cotugno, il politico dem ha in sostanza confermato che una vigilanza diretta da parte del ministero non esisteva, nemmeno sulle opere più a rischio: i controlli erano integralmente delegati a Spea, società controllata da Autostrade che operava in pieno conflitto d’interesse e spesso non condivideva nemmeno i risultati delle ispezioni. Nel suo controesame l’avvocato Giovanni Accinni, difensore dell’ex amministratore delegato di Aspi Giovanni Castellucci, ha chiamato questa dinamica “principio di affidamento“: “C’era un rapporto di fiducia tra i tecnici del ministero e quelli di Autostrade?”, ha chiesto a Delrio. “Non è una valutazione che spetta a me, ma immagino di sì”, è stata la risposta. “Ha evidenze sul fatto che il principio di affidamento fosse mai stato tradito?”. “No, se ne avessi avuto evidenza sarei intervenuto”, assicura l’ex ministro. Durante le repliche, però, il pm Cotugno ha contestato la legittimità di questo modus operandi: “Da qualche parte, nella concessione o in altre norme, trova scritto che il concedente deve fare affidamento sull’operato del concessionario?”. “No, direi di no”, ha ammesso Delrio. E poi, alla domanda se il concessionario avesse un interesse economico a realizzare le manutenzioni, ha ammesso: “Beh, no. Le manutenzioni costano“.

All’ex ministro è stato chiesto conto dal pm Airoldi anche di due interrogazioni parlamentari presentate al Mit, negli anni precedenti al crollo, dal senatore genovese Maurizio Rossi, eletto con Scelta Civica di Mario Monti. Nei documenti si leggeva: “È noto il grave problema del ponte Morandi che attraversa la città e del quale non si conosce la sicurezza nel tempo”. E ancora: “Recentemente il ponte è stato oggetto di un preoccupante cedimento dei giunti. che hanno reso necessaria un’opera straordinaria di manutenzione, senza la quale è concreto il rischio di una sua chiusura”. “Ne sono venuto a conoscenza solo a posteriori, dopo il crollo. Prima non mi erano state sottoposte. Arrivano centinaia di interrogazioni parlamentari, in tutto il mio mandato ne sono arrivate circa tremila”, si è giustificato il politico. “Ma le dico con tutta sincerità, non era un’interrogazione che richiamava un allarme. Il passaggio sulle condizioni del ponte stava nelle premesse ed era abbastanza generico, l’obiettivo mi pare fosse stimolare le realizzazione della Gronda”, la bretella autostradale per alleggerire il traffico nel Ponente genovese, ha aggiunto.

Delrio, peraltro, è il ministro che nel 2017 firmò la proroga di ulteriori quattro anni (dal 2038 al 2042) della concessione ai Benetton proprio in cambio dell’impegno a costruire la Gronda entro il 2028. Un regalo reso possibile dallo Sblocca Italia, la legge del governo Renzi che consentiva di allungare le concessioni senza gara promettendo nuovi investimenti. L’accordo non entrò mai in vigore perché venne stracciato dal suo successore, Danilo Toninelli, dopo il crollo del Morandi.

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