“Con Singapore è stato amore a prima vista. A Dubai ci siamo trasferiti da 4 anni: è una città moderna, efficiente, cosmopolita, pulita e sicura. Durante la pandemia ho avuto il terzo figlio e abbiamo deciso di rimanere qui”. Annamaria Ronca ha 40 anni ed è originaria di un piccolo paesino in provincia di Salerno. La sua vita l’ha trascorsa tra Europa, Asia e Africa. La prima esperienza all’estero per Annamaria arriva in Guinea, nel 2007 (laurea in Lingue e Letterature Straniere all’Orientale di Napoli), poi l’impegno con Medici senza Frontiere in Burundi, Libia, Kivu (Repubblica democratica del Congo) e Repubblica Centrafricana. Nel 2009 il trasferimento a Singapore per lavorare alle Olimpiadi giovanili. “Ho fatto il mio primo viaggio con mio padre all’età di 12 anni e mi è piaciuto così tanto che mi sono ripromessa di scoprire quanti più posti possibile”, sorride.

Dopo vari trasferimenti a Nizza, in Qatar, a Londra, nel 2014 Annamaria lascia l’impegno umanitario con l’arrivo del suo primo figlio. A Dubai, con una proposta di lavoro con Expo nel 2019 del marito, Annamaria e la sua famiglia hanno deciso di fermarsi. Per ora. “Le persone pensano che a Dubai si lavori poco o niente e ci si goda la vita, invece bisogna sudare tanto per mantenere il posto. Il mercato del lavoro qui è molto competitivo – racconta al fatto.it – e non ci sono le stesse tutele che esistono in Italia”. Per fare un esempio, la maternità “dura solo due mesi”, spiega. Trasferirsi non è mai semplice, continua Annamaria, pure per una come lei abituata a girare il mondo. “Bisogna cercare casa, la scuola per i bambini, affittare l’auto, trovare un pediatra”. Il primo mese è cosi: si pianifica, si studia la città, “si cerca di capire come organizzarsi al meglio”.

In città, inoltre, non esiste la scuola italiana, per cui, dopo attente analisi, Annamaria e suo marito hanno scelto scuola e asilo nido con curriculum britannico. “I bambini si adattano molto facilmente. Mio figlio, che aveva 5 anni all’epoca, ha iniziato la prima elementare senza conoscere una sola parola di inglese e nel giro di tre mesi lo capiva e parlava molto bene. Le scuole per gli emiratini sono gratuite ma essendo in arabo non sarebbero comunque accessibili a noi stranieri che non siamo arabofoni”. Quanto al costo della vita, Dubai è una città cara. Affitti e scuola costano molto e la sanità è privata, continua Annamaria. I datori di lavoro sono obbligati a pagare un’assicurazione sanitaria all’impiegato e alla sua famiglia, ma chi lavora in proprio deve provvedere da solo. “Bisogna considerare ogni cosa per farcela, altrimenti meglio rientrare a casa”. Anche la tassazione non è esattamente “paradisiaca come si pensa”, aggiunge. “Ci sono molte cose da pagare che non sono chiamate tasse ma di fatto lo sono. Non si è tassati, finora, sui guadagni ma a breve la situazione cambierà. L’Iva, anche se bassa, esiste. In generale, anche a Dubai bisogna fare bene i calcoli e far quadrare i conti”.

Dopo aver lasciato il lavoro Annamaria oggi si è dedicata alla scrittura di libri per bambini. Nel tempo che resta, fa la mamma full time. “La mattina di corsa per accompagnare i tre piccoli fra scuola e asilo, poi torno a casa e studio, perché sto prendendo un diploma di abilitazione all’insegnamento della lingua francese. Quando riesco, poi, mi dedico mezz’ora alla palestra, che nel nostro caso è gratuita perché condominiale, e alla scrittura”, sorride. Tra l’incontro con i docenti, le letture al club del libro, la spesa, la cucina, ci si sente a casa? Quando si diventa expat si accettano le regole del Paese ospitante, risponde Annamaria. A Dubai non si avverte uno choc culturale importante ma, essendo una città multietnica, si ha a che fare con persone provenienti da tutto il mondo. “In generale, gli emiratini sono gentili e hanno improntato il Paese sulla sicurezza e la felicità, quindi non esiste criminalità e ci sono molti servizi che facilitano la vita”.

Perché dopo tanto peregrinare non pensa a tornare in Italia? Per ora quest’opzione “mette tristezza”. “Non amo le persone che criticano gli altri perché non hanno il coraggio di uscire dalla comfort zone. Questa è una cosa che gli italiani, purtroppo, fanno spesso”, risponde Annamaria. Ma partire senza avere le idee chiare è “molto rischioso”, aggiunge. “Bisogna informarsi, sapere quanto costano le cose, quanti soldi servono all’inizio. L’esperienza all’estero è sempre formativa, ti fa imparare cose diverse. Ma non bisogna mai partire da sprovveduti”. Ad Annamaria non spaventa crescere i figli a 5mila chilometri da casa. “Mi piace il fatto che siano abituati alla diversità, sappiano prendere l’aereo e parlare un’altra lingua. Poi da grandi decideranno se restare in Italia o andare a vivere altrove”. “Amo l’Italia e mi sento italiana – conclude –. Ma gli italiani non hanno il senso del benessere comune. E la politica non è al servizio del cittadino”.

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