Da gotha dei campioni a boutique di lusso, perché no? Se è questa l’evoluzione del calcio italiano inutile storcere il naso, inutile star lì a rievocare i bei tempi in cui la Serie A era il resort a cinque stelle super lusso ambito da tutti i campioni del globo pallonaro, anche a costo di prendere le stanze meno lussuose. L’Italia non è più quel posto, non lo è da tempo e nel frattempo il nostro campionato è apparso un po’ come i luoghi ritratti nelle esplorazioni urbane: polvere e nostalgia sui fasti che furono. E i restyling, si sa, laddove ci fu opulenza sono difficili e costosi, è difficile: restituire in toto il vecchio prestigio è quasi impossibile, perciò riadattare al meglio ridando comunque dignità è un percorso assolutamente rispettabile.

La Serie A dunque, surclassata in prestigio dalla Premier, dalla Liga e in parte dalla Bundesliga. comprende che il ritorno alla grandeur è (per ora) impossibile e si propone con un modello nuovo: bottega di lusso per le spese dei ricchi. Si parte da una vetrina accattivante e appetibile: tre club in finale nelle Coppe Europee, due in semifinale, uno ai quarti. Materiale buono, ottima resa, rischio flop molto basso: non roba da discount e dunque niente prezzi da discount.

Quindi via Tonali direzione Newcastle: un pilastro del Milan? Sì, ma a 75 milioni più bonus e con una plusvalenza di 40 milioni in cassa si possono cercare altri pilastri con serenità. Idem Vicario, che volerà a Londra sponda Tottenham dopo aver disputato un campionato eccellente con l’Empoli. Stagioni straordinarie di calciatori italiani che quindi spalancano le porte della Premier League: impensabile per il Milan di qualche decennio fa, meno impensabile per le squadre italiane qualche anno fa, quando la dimensione invece era quella del discount.

Certo, non ci sono da fare i salti di gioia di fronte alla consapevolezza che l’Italia calcistica cresce campioni che poi non può trattenere per ragioni fisiologiche (Tonali, tifoso del Milan da piccolo, andrebbe a guadagnare 10 milioni di euro al Newcastle, cifra impareggiabile) ma il passare dal museo per vecchie glorie a palestra di campioni, e dunque alla capacità di puntare sullo scouting, di scommettere sui giovani, di dover guardare a campionati prima ignorati anche per esigenze di bilancio, è già un passo avanti.

Come Kim Minjae, esempio che calza a pennello in tal senso: andrà via dopo un solo anno dopo che il Napoli lo aveva scovato al Fenerbache. Un coreano con alle spalle una sola stagione in Europa e tutto il resto della carriera in Cina, per giunta in un campionato non di prima fascia e neppure memorabile per il club di Istanbul. Arrivato nel legittimo scetticismo generale è stato mostruoso: il Bayern pagherà la clausola rescissoria tra i 50 e i 60 milioni, una bazzecola per i bavaresi ma un indennizzo che porta al Napoli circa tre volte la cifra investita per accaparrarselo un anno prima. Se lo sarebbe tenuto volentieri De Laurentiis, ovviamente, ma in un modello che si autosostiene passando anche per la valorizzazione e la vendita dei calciatori non si strapperà di certo i capelli per una nuova maxi plusvalenza.

Diverso il discorso per Osimhen, destinato a finire anche lui in quella lista naturalmente ma forse non ora: è il quarto calciatore più caro al mondo dopo Haaland, Mbappè e Vini Junior secondo Transfermarkt che lo valuta 120 milioni di euro. De Laurentiis ne chiede almeno 150 e di fronte a costi del genere anche le big vacillano. Forse il nigeriano rinnoverà e resterà un altro anno, forse il Psg, specie se andrà via davvero Mbappé, farà la follia e andrà a rimpinguare ulteriormente i già floridi bilanci azzurri. Investire, incassare, reinvestire e reincassare: se ci aggiungi pure qualche vittoria, come quest’anno, è evidente che il modello Napoli e quello del Milan sono gli unici sostenibili in un calcio senza fantamiliardi e stati sovrani alle spalle. E se quando la Serie A era il gotha del calcio mondiale contavano (anche) sentimenti e riconoscenza, oggi nella boutique di lusso gli affari sono affari, semplicemente: e che tu sia scugnizzo vero come Insigne, acquisito come Mertens, milanista da bambino come Tonali o la storia del Milan come Maldini conta poco o niente e c’è poco da fare.

E dunque Theo Hernandez, Dimarco, forse Onana, magari anche Lozano: tutti in vetrina, non a prezzo di saldo. E se Chiesa dopo un anno fermo chiede (un po’ incomprensibilmente) un cospicuo aumento di ingaggio alla Juventus può andare anche lui…d’altronde Dybala docet. L’estate della Serie A sarà in pratica degna di quella delle più rinomate località italiane, con ricconi stranieri a prendere d’assalto la vetrina di lusso a suon di banconote mentre sul retro ci si industria per rifare il campionario per l’anno prossimo: scovare merce preziosa, giovane e con ampi margini di guadagno l’obiettivo… non è facile, è rischioso e non prestigioso come quando eravamo il paradiso dei campioni, ma anche più edificante di quando siamo stati per metà discount e per metà periferia dell’impero, triste palcoscenico di vecchie glorie.

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