La Corte costituzionale dà ragione agli statali vicini alla pensione: rinviare il pagamento della loro buonuscita è contrario al principio della giusta retribuzione enunciato nella Carta. Ma le cose non cambieranno molto rapidamente. Solo il prossimo anno andranno a riposo circa 150mila dipendenti pubblici e consentire a tutti di incassare il dovuto subito dopo l’uscite creerebbe un fabbisogno da oltre 10 miliardi, a spanne. Per questo, anche se a maggio il presidente Inps Pasquale Tridico aveva parlato di costi “alla portata” dell’istituto, i giudici ritengono che spetti al Parlamento trovare una soluzione “graduale”. I sindacati festeggiano ma chiedono che ora esecutivo e legislativo diano risposte.

La sentenza 130, redattrice la giudice Maria Rosaria San Giorgio, spiega che i trattamenti di fine servizio (Tfs) sono parte integrante della retribuzione e in quanto tali devono non solo essere congrui ma anche essere versati in modo tempestivo. Il differimento di 12 mesi in caso di pensionamento di vecchiaia e 24 se si va in pensione anticipata, introdotto nel 1997 dal governo Prodi e inasprito nel 2010 dal governo Berlusconi (nel 2019 fu poi ampliato ulteriormente per chi usciva con quota 100 o altre forme di anticipo), viola quel requisito.

La Corte ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dal Tribunale amministrativo per il Lazio – dell’articolo 3 comma 2 del decreto-legge n. 79 del 1997 e dell’art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, che prevedono rispettivamente il differimento e la rateizzazione delle prestazioni. Ma “la discrezionalità del legislatore al riguardo non è temporalmente illimitata”. E non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa, tenuto anche conto che la Corte aveva già rivolto al legislatore, con la sentenza n.159 del 2019, un monito in cui segnalava la problematicità della normativa.

La soluzione? Il Tfs è un compenso che dovrebbe “sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana”, nota la Corte. E dunque spetta al legislatore, “avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell’ambito della precedente programmazione economico-finanziaria”.

La Corte ha poi rilevato che la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio prevede temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati. Ma, combinata con il differimento della prestazione, finisce per aggravare il vulnus.

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