di Stella Pegoraro e Nicola Sangiorgi

Viviamo in un’epoca in cui la parola crisi viene utilizzata spesso, anche in modo spropositato. Crisi climatica, crisi politica, crisi migratoria, crisi alimentare, crisi sociale, crisi sanitaria, crisi energetica. Queste crisi hanno delle radici e sono frutto di problemi risolvibili. Forse, più che di crisi, si tratta di sfide globali, che richiedono soluzioni globali. Soluzioni ancora distanti però. Citando l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite: il 2030 viene considerato come spartiacque, una data entro la quale bisogna raggiungere i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. Tuttavia, se le tendenze attuali verranno confermate, la situazione al 2030 sarà ben diversa: quasi il 7% della popolazione mondiale vivrà ancora con meno di 2,15 dollari al giorno, corrispondente a ben 10 volte l’intera popolazione italiana. Stesse sorti toccheranno al nostro pianeta, dove – se le tendenze attuali continuassero invariate – le emissioni di CO2 aumenteranno del 10% rispetto al 2010. Queste problematiche hanno un filo conduttore: abbiamo bisogno di una quantità significativa di denaro per prepararci ad affrontarle.

Questo è possibile facendo un uso migliore di tutti gli strumenti a nostra disposizione e garantendo a tutti i Paesi le risorse necessarie per sviluppare e fornire soluzioni locali alle sfide del nostro presente. In primo luogo, attraverso l’aumento dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS), rispettando gli impegni internazionali presi dall’Italia e dalla comunità internazionale negli anni ‘70 nel raggiungere lo 0,7% del rapporto tra APS e reddito nazionale lordo. In secondo luogo, utilizzando meglio le risorse già esistenti, sbloccando fino a un trilione di dollari in più attraverso la riforma delle banche multilaterali di sviluppo, i cui capitali possono essere usati in modo più efficace. Ma anche ridistribuendo le risorse emesse dal Fondo Monetario Internazionale, i Diritti Speciali di Prelievo, dai paesi ad alto reddito verso i paesi che ne hanno più bisogno. L’Italia ha già redistribuito il 20% della sua dotazione, ma per mantenere l’obiettivo preso durante la Presidenza del G20 bisogna arrivare almeno al 30%.

Un’altra misura efficace sarebbe l’adozione di una tassa sulle transazioni finanziarie che destini il 75% delle sue entrate alle sfide globali, in particolare all’adattamento al clima e al finanziamento della salute globale. Le soluzioni, evidentemente, ci sono, è ora di metterle in azione.

L’Italia è stata colpita, duramente e in modo ripetuto, da fenomeni meteorologici imprevisti e disastrosi, gli eventi degli ultimi giorni non ci lasciano nessun dubbio: l’emergenza climatica è qui, ora. Questa è una realtà che coinvolge tutti e tutte, nessun escluso, ma differisce nella capacità di risposta a emergenze simili. Se l’Italia può investire fondi emergenziali a sostegno della popolazione colpita, questo non è il caso per i Paesi a basso reddito.

Nonostante questi ultimi siano i paesi che meno hanno contribuito all’aggravarsi di questa crisi, sono ora i più colpiti. Infatti, ad oggi si stima che i 10 Paesi più sensibili al clima si trovano in Africa, in zone dove vivono oltre 150 milioni di persone. La loro situazione economica, gravata da enormi debiti e carenze di liquidità, rende complicato il finanziamento di misure di transizione ecologica così come di adattamento agli effetti di un ecosistema in cambiamento. In quest’ottica, si rende fondamentale e urgente finanziare l’adattamento ai cambiamenti climatici delle comunità più vulnerabili.

Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia esistenziale per le persone e per il nostro pianeta, la causa principale delle maggiori sfide globali. Questa crisi è opera dell’uomo ed è ormai chiaro che il nostro mondo ha bisogno di essere trasformato. È ora che i cittadini di tutto il mondo chiedano ai governi e al settore privato di rispondere del loro ruolo alla nostra crisi ambientale, domandando soluzioni urgenti, concrete e ambiziose. Il mondo non è fatto a compartimenti stagni: per quanto le catastrofi ambientali in altri Paesi, frutto dei cambiamenti climatici, possano sembrarci lontane, è una mera illusione. Essere al fianco di comunità vulnerabili è una questione di umanità e giustizia, due valori che non possono essere accesi o spenti a proprio piacimento, a seconda di interessi circostanziali.

Entro il 2050, si stima che l’Africa avrà bisogno di 50 miliardi di dollari all’anno per adattarsi al cambiamento climatico. Ad oggi ne riceve poco più di un terzo. Il divario è evidente. Il 22 e il 23 giugno di quest’anno si terrà a Parigi il Vertice per un nuovo patto di finanziamento globale, che riunirà i leader mondiali con l’obiettivo di creare un nuovo patto finanziario che meglio risponda alle esigenze di sviluppo e di clima di tutti i Paesi. È una grandissima occasione per iniziare a porre rimedio ad almeno alcuni di questi problemi.

Spesso si sente parlare di ascolto dei giovani come un mero calcolo elettorale. Questo è un errore. Siamo giovani, certo, ma siamo anche preparati, abbiamo idee nuove, nuove prospettive e possiamo aiutare i nostri rappresentanti istituzionali con la nostra determinazione e la nostra energia. Come giovani attivisti e attiviste crediamo che sia importante utilizzare la nostra voce per chiedere che le promesse dei nostri rappresentanti vengano mantenute. Ci battiamo per un futuro più equo e sostenibile e vogliamo quindi essere ascoltati e inclusi nelle discussioni che riguardano il nostro futuro.

Per concludere, una breve riflessione. La domanda non è perché sia importante agire, ma invece se possiamo permetterci di non farlo. Il tempo dei dubbi, dei temporeggiamenti e delle promesse non mantenute è finito. Questo momento deciderà il nostro futuro. Dobbiamo assumerci la responsabilità e l’onere delle nostre azioni, o inazioni. Perché per quanto è vero che siamo sull’orlo del baratro, è anche vero che abbiamo ancora la possibilità di invertire la rotta e di salvare il nostro pianeta e le persone che lo abitano. Servono però azioni concrete e urgenti, ora. Prima che sia troppo tardi.

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