Quanta letteratura intorno alla figura di Silvio Berlusconi! Si è detto tanto dell’imponente presenza del suo mondo per l’ultimo saluto, partecipazione cui ha fatto da contraltare l’assordante assenza di leader stranieri. E nel profluvio di commenti si è posto poco l’accento su cosa abbia rappresentato Silvio Berlusconi per gli italiani residenti all’estero.

C’era da gonfiare il petto e andare orgogliosi di quel Capo di governo così singolare o imbarazzarsi fino ad arrossire? Ognuno ha la sua risposta, di certo non sarà stato facile, nemmeno per i sostenitori più convinti del magnate, provare a spiegare all’estero gesta e pensieri di quel personaggio archetipo dell’italianità. Strabuzzammo gli occhi a Taraz, nel profondo sud del Kazakistan, scorgendo il suo cognome campeggiare a grandi lettere sull’insegna di una boutique. In quelle terre remote l’allora premier ci apparve come un brand utile per vendere qualche capo d’abbigliamento in più. Oltre dieci anni fa in quel pezzo d’Eurasia riecheggiavano sulla stampa gli apprezzamenti di Berlusconi a Nursultan Nazarbayev, vero padre-padrone del paese, ammirato non solo per gli straripanti consensi, in uno Stato lontanissimo dal sistema delle democrazie liberali, ma anche per i successi urbanistici.

Il premier Berlusconi, rimembrando gli antichi successi di Milano 2, provò a lanciare le new town e non perse occasione per lodare con convinzione la costruzione dal nulla della capitale kazaka. In effetti Astana fu tirata su nel giro di pochi anni per volere del Presidente, un sovrano assoluto che con gli ingenti ricavi delle esportazioni di gas e petrolio riusciva a modellare a sua immagine l’idea di modernità. Berlusconi però non colse che quella città fu realizzata nel mezzo di una steppa, enorme e arida, priva di qualsivoglia pregio paesaggistico e senza vincoli storici. Eppure agli occhi del premier italiano andava esaltato quel modello urbanistico che, per quanto kitsch, era da preferire ai lacciuoli delle sovrintendenze nostrane, per lui mere pastoie burocratiche.

Le nuove città italiane non avrebbero mai visto la luce, mentre Astana rimase assoggettata agli umori del padre-padrone. Al pensionamento di Nazarbayev, nel volgere di una notte la capitale mutò il nome in Nur Sultan e, dopo la rivolta popolare antisistema del gennaio ’22, il delfino Tokayev, per segnare distanze più nette dal vecchio regime, tornò con atto gattopardesco all’antica denominazione. Come ripercorrere oggi il viaggio del Marco Polo visionario delle Città invisibili di Italo Calvino.

Storie di leader, di capi e di sultani: non è un caso che in queste ore si discuta di intitolare da subito una via all’ex premier appena scomparso, attivando, se occorre, procedure d’urgenza. Il termine di dieci anni dal decesso, come previsto dalla legge, sembra eccessivo.

In Spagna non sono bastati due giorni di editoriali e approfondimenti per spiegare quel campione di italianità. Operazione complicata illustrare gli intrecci tra conflitto di interessi e leggi ad personam, tra comportamenti privati e alti ruoli istituzionali, come pure i rapporti tra azione politica e attività degli inquirenti. La Spagna è abituata ai professionisti della politica, con un’unica figura assimilabile a Berlusconi: quella di Jesús Gil, focoso imprenditore del cemento con impegni anche nel calcio (fu presidente dell’Atletico Madrid). Con fare populista e spregiudicato volle dare una spallata al sistema dei partiti tradizionali; il fenomeno però rimase confinato in ambito locale, ritagliandosi uno spazio in Andalusia, nelle pieghe delle velleità espansionistiche della Marbella degli anni ’90.

Berlusconi in fondo non ha mai ingannato – si è letto sulle pagine de El País – gli italiani, che invece di nascere debuttano su un palcoscenico antico e affascinante; sapevano che quel personaggio non era un politico ma un attore disposto a interpretare una parte dell’anima del paese. Murió el actor, sigue la farsa è il titolo del pezzo.

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