La riforma della giustizia di Carlo Nordio? “Va nella direzione di rendere sempre più difficile il controllo di legalità sulla criminalità dei colletti bianchi. E renderà ancora più indifesi i cittadini rispetto agli abusi del potere“. Parola di Antonino Di Matteo, esperto investigatore antimafia, tornato da alcune settimane a fare il sostituto procuratore alla Direzione nazionale dopo l’esperienza da togato al Consiglio superiore della magistratura. Secondo il pm il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri avrà alcuni effetti deleteri sulle inchieste. “Tra le altre cose penalizzerà anche le indagini sui rapporti, sempre più pericolosi, tra le mafie e le pubbliche amministrazioni“, spiega Di Matteo, riferendosi all’abolizione del reato di abuso d’ufficio. In passato, infatti, molte indagini sui legami tra la politica e la criminalità organizzata sono nate da semplici esposti di cittadini nei confronti di pubblici amministratori. Dalle ipotesi di abuso, dunque, i riflettori hanno poi illuminato vicende molto più estese, che riguardavano ipotesi di corruzione e favoreggiamento mafioso. “In questo senso l’abuso d’ufficio era un reato spia: s’indagava su un esposto ma poi si scoprivano responsabilità molto maggiori”, continua il pm. Che dunque condivide l’opinione del collega Nicola Gratteri: l’abuso d’ufficio è un reato spia, indica cioè la possibile presenza di altre violazioni di legge. Opinione contestata dal ministro Nordio: “Un reato o c’è o non c’è – ha detto il guardasigilli – Non puoi andare a cercare a strascico qualcosa che sia la spia di un altro reato”.

Diversa da quella di Nordio è l’opinione del professor Franco Coppi, storico legale di Silvio Berlusconi, secondo il quale abolire l’abuso d’ufficio “non è una grande alzata di ingegno, perché vorrà dire che i pm procederanno per corruzione, si allargherà il concetto di utilità e al posto dell’abuso avremo la corruzione”. Di Matteo non è d’accordo: “La corruzione è un altro tipo di reato, prevede lo scambio di denaro o altre utilità mentre l’abuso d’ufficio punisce una condotta diversa, cioè il favoritismo personale. E’ il vecchio interesse privato in atti d’ufficio, abrogato nel 1990″. Il pm fa notare come l’abolizione dell’abuso d’ufficio avvenga mentre “stanno arrivando i miliardi del Pnrr da spendere. Senza considerare che recentemente, con il codice Appalti, sono state innalzate le soglie minime per gli affidamenti diretti senza gara“.

Di Matteo contesta anche la parte del provvedimento che limita la pubblicazione delle intercettazioni: con la riforma Nordio, infatti, si potranno portare a conoscenza dell’opinione pubblica solo gli ascolti contenuti in un’ordinanza di custodia o in un eventuale provvedimento del tribunale del Riesame. Sarà vietato, invece, diffondere ciò che è riportato nelle richieste della Procura o nelle informative di polizia giudiziaria allegate ad atti d’indagine. Una differenza fondamentale, visto che a volte il gip non cita nelle ordinanze conversazioni che non servono per giustificare la misura, ma che possono essere importanti per l’opinione pubblica. E che dire poi di intercettazioni rilevanti che non compaiono comunque mai nelle ordinanze? Gli esempi di notizie che oggi potremmo non leggere più si sprecano: si va dalle parole pronunciate in carcere da Giuseppe Graviano sulle stragi (che hanno fatto riaprire le indagini sulle bombe del ’93) ai colloqui carpiti dalle cimici piazzate nel salotto di Giuseppe Guttadauro, il boss mafioso che avrebbe poi fatto finire nei guai Totò Cuffaro. “Questa riforma – dice Di Matteo – imporrà un ulteriore bavaglio all’informazione che comprimerà il diritto di ogni cittadino di venire a conoscenza di fatti e rapporti di grande rilevanza pubblica. E’ un bavaglio che si pone in assoluta continuità con quello introdotto dalla riforma di Marta Cartabia“.

Un’altra novità introdotta dalla riforma, poi, è una sorta di avviso di arresto per gli indagati: prima di disporre la custodia cautelare in carcere, infatti, il giudice dovrà interrogare l’indagato, notificandogli l’invito “almeno cinque giorni prima“. La previsione non vale se sussistono le esigenze cautelari del pericolo di fuga o di inquinamento delle prove, o per la reiterazione dei reati più gravi come mafia e terrorismo, o quelli “commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale”. “Questa norma mi pare evidentemente tesa ad agevolare le persone accusate di reati contro la pubblica amministrazione, ecco perché dico che la riforma va nella direzione di rendere sempre più difficile il controllo di legalità sulla criminalità dei colletti bianchi“, dice Di Matteo. In effetti l’interrogatorio cinque giorni prima dell’arresto vale soprattutto i presunti corrotti o corruttori: per arrestarli bisognerà “avvertirli” in anticipo. Un meccanismo che per il pm è “una sorta d’incoraggiamento alla latitanza. In pratica si corre un rischio micidiale, si provoca il pericolo di fuga che fino a quel momento non c’era, anche perché magari l’indagato non sapeva di essere sotto inchiesta“. L’interrogatorio con il rischio di finire agli arresti, però, non potrebbe spingere l’indagato a confessare o confermare parte delle accuse? “Sarebbe paradossale se scattasse questo meccanismo, cioè l’utilizzo della minaccia del custodia cautelare come una sorta di invito alla confessione e alla delazione“, dice Di Matteo. Usare il carcere come spauracchio per ottenere una confessione, tra l’altro, è l’accusa che molti esponenti di questa maggioranza di governo hanno spesso lanciato nei confronti dei magistrati di Tangentopoli.

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