Uccisi al volante, fermi al rosso di un semaforo. Oppure per strada. O ancora inseguiti mentre sono in fuga, raggiunti e assassinati sul marciapiedi, accanto a una cabina telefonica. È la città dei 100 morti ammazzati ogni anno quella catturata dagli obiettivi di Franco Lannino e Michele Naccari, i due fotoreporter di Studio Camera, nota agenzia di Palermo che per decenni ha immortalato le violenze di Cosa nostra. Quelle foto finivano sulle pagine dello storico giornale L’Ora e poi su quelle dei quotidiani e dei settimanali di tutto il Paese. Immagini crude, “forti“, perché raffiguravano le scene cruenti degli omicidi. Immagini che oggi sono completamente sparite dagli articoli di cronaca.

Adesso una selezione di quelle foto viene esposta al pubblico. Sono 44 instantaee in bianco e nero che raccontano gli omicidi avvenuti nel capoluogo siciliano tra la fine degli anni ’80 e i primi anni Duemila. La mostra ha un titolo evocativo: Macelleria Palermo. A scorrere gli scatti si capisce il perché. Aprirà i battenti a Palermo il 24 giugno a palazzo Naselli di via del Fervore 1 e sarà visitabile fino al 22 luglio. L’allestimento scenico è dell’architetto Gianni Prestileo dello studio PBaa- Prestileo e Bianco Architetti. Per ogni fotografia ci sarà una voce che darà le informazioni , con data, luogo e nome del morto ammazzato. “Non è la solita mostra, ma una sorta di full immersion nell’orrore. Volevamo spiegare cosa è stata questa città a chi non sa nulla di quegli anni”, dice Lannino, che già da qualche tempo usa i social con questo scopo: ogni giorno su facebook pubblica una foto di fatti di cronaca. Omicidi noti o meno noti del passato: Lannino pubblica l’immagine e racconta i retroscena di quello scatto. È per questo motivo che il fotoreporter, insieme al suo storico socio, ha deciso organizzare Macelleria Palermo: per ricordare alla sua città di essersi specchiata nel suo stesso sangue. Come il 23 novembre 1989, quando un commando armato uccide Leonarda Costantino, Vincenza Marino Mannoia e Lucia Costantino, cioè la madre, la sorella e la zia di Francesco Marino Mannoia, detto Mozzarella, il “chimico” di Cosa nostra: conosceva i segreti del traffico di droga, ma aveva deciso di saltare il fosso, farsi pentito e collaborare col giudice Giovanni Falcone.

ASCOLTA MATTANZA, IL PODCAST DEL FATTO SULLE STRAGI DEL ’92

Il 29 agosto del 1991, alle 7 e mezza del mattino, il corpo di Libero Grassi giace in una pozza di sangue sul marciapiede: lo ammazzano con quattro colpi di pistola, mentre sta andando a lavoro, perché si è rifiutato di pagare il pizzo. Sette mesi dopo, il 12 marzo del 1992, tocca a Salvo Lima, eurodeputato della Dc, l’uomo di Giulio Andreotti in Sicilia, freddato mentre esce dalla sua villa di Mondello. Il politico paga la sentenza del Maxi processo: poche settimane prima la Cassazione ha reso definitivi per la prima volta gli ergastoli per il boss mafiosi. Totò Riina perde la testa e ordina di vendicarsi dei politici che non hanno mantenuto le promesse: la chioma bianca di Lima, riversa nel suo stesso sangue sul marciapiede di Mondello, è l’atto numero uno della guerra che Cosa nostra scatena contro lo Stato. Una stagione raccontata da Mattanza, il podcast del Fatto Quotidiano sulle stragi del 1992. Un’inchiesta in cui si ascolta anche la voce di Lannino, che è il primo fotoreporter ad arrivare in via d’Amelio dopo la strage di Paolo Borsellino e di cinque uomini della scorta. Anni dopo Lannino si accorgerà che quel giorno aveva realizzato uno scatto importantissimo: un carabiniere con in mano la borsa del giudice appena assassinato. In quella valigetta c’era l’agenda rossa che Borsellino usav a per appuntare i segreti delle sue indagini. Un diario mai più ritrovato.

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