È difficile dire qualcosa di nuovo su Silvio Berlusconi. Quindi proverò a scrivere qualcosa di vecchio, anzi di “storico” (d’altra parte l’ex Cavaliere ci teneva alla prospettiva di passare alla storia), riprendendo alcuni miei appunti scritti parecchi anni fa, nella primavera del 2009. In quel periodo l’allora premier finì, uscendone ovviamente incolume, nel Casoria-Gate, dopo che era emersa la confidenza tra l’allora 72enne e la 18enne napoletana Noemi Letizia. Era stato il primo di una lunga serie di scandali di quel genere, che si andarono ad aggiungere a quelli legati a reati fiscali e finanziari di vario tipo. Infatti il caso di Karima El Mahroug, pseudo nipote di Mubarak, marocchina, anche lei 18enne, e di tante olgettine (neologismo segnalato persino da Treccani) sarebbe emerso un anno dopo, a maggio 2010 (per concludersi nel 2023 con un’assoluzione generale).

I miei appunti non si riferivano a giudizi morali sul comportamento dell’ex premier (rispetto ai quali avevo e ho un’opinione, ovviamente, ma non vorrei apparire prevedibile), bensì al modo in cui egli ha interpretato, anzi recitato, il ruolo istituzionale. È chiaro che non è stato il primo uomo politico famoso a scivolare su scandali sessuali. Basti ricordare il Sexgate di Bill Clinton e lo “stile” ben più impetuoso di Donald Trump, tanto per citare due presidenti degli Stati Uniti. Però il modo in cui Berlusconi ha usato il suo corpo per fare politica e per ottenere consensi ha reso il fenomeno ancora più pervasivo e platealmente condiviso, per lo meno in Italia. La sua esuberanza non è stata soltanto un caso da gossip e cronaca giudiziaria; è stata anche una rivoluzione politica (non a caso ha provato a copiarlo più rusticamente, e con scarsi risultati, il leader della Lega, Matteo Salvini, nella sua fase esibizionistica con felpe e boxer).

In che senso? Facciamo un passo indietro e guardiamo le cose in chiave medievistica (anzi, medievalistica). Nel libro I due corpi del re. L’idea di regalità nella teologia politica medievale (1957), lo storico tedesco Ernst Kantorowicz sosteneva che il sovrano ha un doppio corpo: quello naturale (fisico, fragile, individuale, perituro, mortale) e quello mistico (concesso da Dio, universale, imperituro, immortale). Lo storico si riferiva all’Età di mezzo, quando il corpo del re era contraddistinto da un carattere rappresentativo separato e differente dal corpo politico, che rappresentava l’invisibile corporeità del corpo dello Stato. Tale ripartizione, elaborata filosoficamente a protezione dell’istituzione statale, è stata perpetuata per molto tempo, in parte fino ai giorni nostri, permeando anche il ruolo dei leader nelle liberal-democrazie di stampo occidentale.

Negli ultimi decenni questa concezione ha cominciato a mostrare le crepe più vistose. Prima di tutto grazie al grande successo sociale del consumismo, in particolare quello trionfante dalla seconda metà del Novecento in poi. La politica partorita dal berlusconismo, basata sul mondo dei mass-media e dell’immagine, ha definitivamente sovrapposto e fuso i due corpi del re. Grazie anche a Berlusconi, corpo privato e corpo pubblico ormai coincidono: sono “il corpo mediale del leader”, come recita il titolo del saggio scritto dal sociologo Federico Boni (Meltemi, 2002), col sottotitolo Rituali del potere e sacralità del corpo nell’epoca della comunicazione globale. Per Boni, il cortocircuito ha contraddistinto, ad esempio, lo scandalo legato a Clinton. Il suo corpo era già quello mediale del capo di Stato: se si macchia con reati o atti moralmente controversi, “sporca” la nazione intera. Negli Stati Uniti, ai tempi del Sexgate (era il 1998), lo scandalo si verificò senza che “il re” della Casa Bianca fosse consapevole del ruolo della figura del “sovrano mediale” nella società di massa. Silvio Berlusconi invece è stato assai meno “ingenuo”: dagli anni Novanta in poi ha contribuito consapevolmente – attraverso la propria concezione della politica e dell’uso dei mass media – a sovrapporre i suoi due corpi, costruendo un rapporto con gli italiani che l’ha premiato a lungo. Donald Trump anche da questo punto vista è stato ed è un suo imitatore.

La scomparsa dell’ex Cavaliere forse ci mostrerà quanto l’iperattivismo del “corpo naturale” sia riuscito a impedire agli italiani di capire che anche nel XXI secolo un “corpo mistico” del re, dell’istituzione, dovrebbe essere tutelato. Perché c’è sempre il rischio che il primo divori e annienti, definitivamente, il secondo, insieme alla credibilità dello Stato. L’ultima scelta fatta dalla premier Giorgia Meloni (che invece adora mostrarsi come protettrice della tradizione, della morale e della nazione) sembra un tentativo, più o meno consapevole, di esaltare quel che resta (se resta qualcosa) del corpo mistico del suo predecessore e mentore.

Meloni ha accettato infatti di trasformare le esequie religiose e pubbliche di Silvio Berlusconi in una specie di celebrazione eucaristica e in un Ego te absolvo a peccatis tuis, come dimostra l’inedita e discutibile scelta di indire, in aggiunta al funerale di Stato milanese, pure il lutto nazionale (prima era spettato solo ad Aldo Moro, personaggio di tutt’altro spessore, assassinato dalle Br). Queste celebrazioni però possono essere anche interpretate come una legittimazione del comportamento dell’ex Cavaliere, in una foga di omologazione e amnesia generali. Obiettivi che si sta cercando di usare, come ha scritto Ermanno Rea nel libro La fabbrica dell’obbedienza: Il lato oscuro e complice degli italiani (Feltrinelli, 2012) – grazie a “una macchina della persuasione fondata sulla ‘tecnica dello specchio’, capace di riflettere, drammatizzandoli al massimo, i peggiori difetti nazionali trasformati in spettacolo”.

Quella macchina è una parte notevole dell’eredità che Berlusconi ci ha lasciato. Bisognerebbe fare in modo di non dimenticarsene.

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La gestione della morte di Berlusconi? Un teatro dell’assurdo: la questione morale non invecchia

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