Silvio Berlusconi è morto e per l’Italia finisce un’era durata, a conti fatti, una trentina d’anni. Al di là della solidarietà umana, dovuta in quanto tale anche al controverso e tutto sommato estremamente nocivo personaggio, occorre chiedersi se non siamo in realtà andando verso un ulteriore peggioramento della situazione. Berlusconi, nonostante taluni suoi tratti paradossalmente simpatici, ha determinato un salto di qualità davvero esiziale in fenomeni assolutamente negativi come la commistione tra bene pubblico e interessi privati, sacrificando inevitabilmente il primo a vantaggio dei secondi, e l’analfabetizzazione pressoché totale delle masse, in virtù della quale siamo oggi più che mai un popolo fatto di monadi litigiose, incapaci perfino di comprendere i fenomeni che ci circondano e determinano il nostro destino. Ovviamente sarebbe poco perspicace, oltre che ingiusto, dare a Berlusconi tutte le colpe di questa malsana situazione.

La gerontocrazia che da sempre caratterizza il malgoverno dell’Italia assume tinte particolarmente macabre nell’attuale contesto sempre più nettamente segnato dall’incombere della fine del mondo e della civiltà, sub specie di guerra nucleare ovvero di catastrofe climatico-ambientale. L’impressione netta è che ai vegliardi che ci governano, in fondo, del baratro verso il quale siamo avviati non importi più di tanto, dato che comunque a loro resta poco da vivere e che l’unica idea che li tiene in vita è quella di lucrare fino all’ultimo le rendite derivanti dalle industrie dominanti (armamenti, energia fossile e medicinali sopra tutti), o meglio i margini di tali rendite che tali industrie accordano generosamente ai loro lacchè, specie se abbarbicati saldamente sulle poltroncine della politica e del sistema dei media.

Giorgia Meloni non fa certo eccezione, dato che è precocemente invecchiata partecipando ai peggiori riti della politica politicante fin dalla gavetta e determinando il definitivo rovesciamento di quello che un tempo si definiva “arco costituzionale” in “arco incostituzionale”, ovvero insieme di partiti, collocati ben dentro il potere costituito in tutti i suoi aspetti, con lo scopo neanche troppo occulto di realizzare l’agenda Draghi ma anche quella formulata in tempi oramai lontani da Licio Gelli; smantellamento di ogni garanzia giuridica per i settori di gran lunga maggioritari e poveri – sempre più poveri – della società; annientamento di ogni contropotere istituzionale, a cominciare da quello della magistratura; allineamento totale dell’Italia ai desiderata del capitale finanziario internazionale della Nato (leggi Stati Uniti).

Occorre peraltro onestamente riconoscere che qualche parola non conformista lo stesso Silvio ebbe il merito di pronunciarla, a proposito del lugubre pasticcio ucraino, che rischia di trascinarci tutti e tutte verso l’olocausto nucleare, ma le sue obiezioni vennero presto tacitate colla promessa, prontamente mantenuta, di qualche facilitazione in sede giudiziaria o di governo dei media e dell’economia. Tutti temi che restano aperti, dato che Meloni e i suoi accoliti sembrano più che mai decisi a seppellire definitivamente le timide proposte in tema di conflitto d’interessi e simili, che un’opposizione tutto sommato di incapaci non è riuscita a realizzare nei trenta e più anni che ci separano dall’inizio del fenomeno Berlusconi. Per non parlare dell’imperiosa e perdurante necessità di far luce su ogni circostanza del turbolento periodo che ne permise l’avvento, segnando l’inizio della transizione dal sistema del CAF (a sua volta inaugurato col rapimento Moro e altri oscuri episodi) all’inizio del marasma attuale.

Ma mentre l’Italia, governata da una gerontocrazia irresponsabile e popolata da una moltitudine di sonnambuli inconsapevoli, galleggia, trascinata da tumultuose correnti epocali, verso mete poco auspicabili, nel resto del mondo assistiamo a trasformazioni altrettanto epocali che rappresentano la fine della plurisecolare subordinazione del Sud e quindi di gran parte del pianeta da parte dei poco avveduti e scarsamente intelligenti governanti occidentali. Siamo di fronte a un vero e proprio risveglio della dialettica internazionale, del quale possiamo registrare varie importanti testimonianze. Dal recupero del ruolo internazionale del Brasile di Lula e di tutta l’America Latina, ma anche dell’Africa e dell’Indonesia, per non parlare dell’immensa Cina, al sacrosanto rifiuto del presidente tunisino Saied di far svolgere al suo Paese il ruolo di kapò nei confronti dei migranti e di ottemperare ai diktat del Fondo monetario internazionale, che da troppi anni è il responsabile della miseria crescente dei popoli del Sud.

Occorre che i giovani, stanchi di chi giorno per giorno li depreda di ogni futuro praticabile, si sveglino e prendano in mano le redini di questo Paese, estromettendo la destra impresentabile di Meloni che si avvia, insieme agli eredi presto in lite fra di loro, a beneficiare più di ogni altro della fine dell’uomo che, volenti o nolenti, ha segnato la nostra esistenza in questi ultimi trent’anni. Senza ovviamente dare alcun credito alla finta opposizione che in tali anni ha funto da tappezzeria e continua a svolgere tale ruolo poco gratificante.

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