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Psicologo a scuola, così si possono aiutare i giovani a costruirsi un futuro

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di Andrea Civitillo*

Recentemente il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, nell’esprimere la sua vicinanza alla professoressa gravemente ferita da uno studente, ha lanciato un invito a riflettere attentamente sull’introduzione dello psicologo a scuola. Se ne parla da molto tempo, con scarsi effetti. Siamo l’unico Paese europeo che non istituisce nell’organico delle scuole la figura dello psicologo. Le scuole che riescono a trovare dei fondi per interventi psicologici lo fanno tra mille difficoltà e non riescono ad avere una progettualità nel lungo termine. Ritardi, mancanze, vuoti normativi sono purtroppo noti.

Un significativo elemento di novità dei tempi recenti circa l’introduzione stabile di psicologi nelle scuole è dato dalla richiesta esplicita di studenti, famiglie, personale scolastico. Fatto nuovo e tutt’altro che scontato. Un esempio? L’indagine “Chiedimi come sto” realizzata dalla Rete degli Studenti Medi e dall’IRES, nella quale più del 90% dei 30.000 studenti partecipanti ha dichiarato di trovare necessario il potenziamento del supporto psicologico a scuola. Più del 70% delle scuole del territorio nazionale ha fatto domanda nel 2020 per i fondi stanziati dal Protocollo tra CNOP e Ministero dell’Istruzione per il supporto psicologico (fondi che non sono stati rinnovati dall’attuale governo).

Sembrano tutti concordi nel chiedere interventi psicologici stabili e strutturali a scuola, questo è un fatto assolutamente nuovo. Ma cosa ci si aspetta dagli psicologi a scuola? Siamo sicuri che Legislatore, studenti, famiglie e dirigenti scolastici abbiano idee del supporto psicologico condivise e sovrapponibili?

Il deterioramento della salute mentale dei giovani ha assunto dimensioni assolutamente preoccupanti. Recenti rilevazioni parlano di una vera e propria esplosione del numero di minori che accedono a cure psichiatriche; la quantità di giovani che denunciano atti di bullismo e cyberbullismo è cresciuta notevolmente rispetto al pre-Covid, stesso discorso per le richieste di presa in carico per disturbi alimentari. Il rischio che corriamo tutti è quello di immaginare il supporto psicologico esclusivamente come una forma di controllo di comportamenti a rischio. Ma controllare e capire spesso sono su due pianeti diversi.

La retorica del comportamento a rischio operato dal singolo mette al riparo l’istituzione da una revisione critica del proprio funzionamento e della propria offerta formativa. La scuola attraversa da ben prima del Covid una forte crisi di senso, di mandato. Una Scuola che fatica a immaginare il proprio futuro e quello dei ragazzi lascia vuoto lo spazio che dovrebbe essere occupato dalla competenza a progettare percorsi professionali e di vita. Questo vuoto rischia di trasformare la Scuola in un luogo popolato da individui problematici, con comportamenti sempre più devianti.

Su quali competenze investe la Scuola oggi? In che modo si occupa delle competenze relazionali, ne promuove lo sviluppo? Che ipotesi vi sono sulla dispersione scolastica? Come interpreta il progressivo sfilacciamento dell’alleanza con le famiglie? Cosa sta capendo dell’esplosione numerica di Disturbi Specifici dell’Apprendimento? Come gestisce i Bisogni Educativi Speciali? Che modelli di verifica e valutazione propone ai suoi studenti? Che sistemi ha per orientare nella scelta dei percorsi formativi e professionali?

I comportamenti a rischio spesso esplodono quando i contesti di convivenza sono fragili, senza obiettivi, senza una sufficiente cura delle relazioni. Gli psicologi possono dare aiuto sulla costruzione del futuro dei nostri giovani: è auspicabile più che mai che il Legislatore metta le scuole nelle condizioni di chiedere una mano agli psicologi su problemi decisivi per il nostro futuro.

*Psicologo e psicoterapeuta

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