A 15 anni dalla nascita di un figlio una donna italiana guadagna in media la metà di una collega che non è madre. Il dato è contenuto nella relazione annuale della banca d’Italia e la dice lunga sulle disastrose e croniche carenze di politiche a sostegno di famiglia e natalità nel nostro paese. Al di là di tante parole e battaglie ideologiche la realtà è questa e a pagarne le conseguenze sono le donne. Non che sia un mistero, il tasso di occupazione femminile è inferiore di 18 punti percentuali rispetto a quello maschile, un primato negativo in Europa. Inoltre, come spiega Bankitalia, “le donne occupate hanno più di frequente impieghi di tipo temporaneo e part-time, anche se una lavoratrice a tempo parziale su due sarebbe disponibile a lavorare a tempo pieno.

La minore quantità di lavoro, insieme a retribuzioni orarie più basse, si traduce in redditi annui mediamente inferiori a quelli degli uomini”. Se queste penalizzazioni riguardano tutte le donne, per le madri le difficoltà si moltiplicano. “I divari si accentuano con la maternità – evento che spinge ancora oggi molte madri ad abbandonare il proprio lavoro o a ridurre drasticamente le ore lavorate – e si ampliano nel corso della vita lavorativa, soprattutto nelle fasce più alte della distribuzione salariale”, scrive la banca centrale. E così si arriva al drammatico dato del dimezzamento dello stipendio rispetto a chi non ha figli. Un dato che era già stato messo in evidenza da precedenti studi ma, ripresi dalla stessa Bankitalia, che li lega esplicitamente alla carenza di servizi.

Il 90% del divario negli stipendi è spiegato da un numero minore di ore lavorate, dovuto al passaggio a contratti a tempo parziale e alla riduzione delle settimane retribuite nell’anno a parità di tipologia di rapporto di lavoro. La restante parte è invece riconducibile alla minore crescita delle retribuzioni settimanali delle madri, verosimilmente determinata da progressioni di carriera più lente rispetto alle donne senza figli. Gli effetti della maternità sulle retribuzioni e sulla probabilità di abbandono dell’occupazione risultano più marcati nelle regioni in cui i servizi di cura per l’infanzia sono meno diffusi, a sostegno dell’ipotesi che le difficoltà di conciliazione tra famiglia e lavoro svolgano un ruolo determinante.
.

Articolo Successivo

Tasse come ‘pizzo di Stato’: la lezione di Padoa-Schioppa a Giorgia Meloni

next