di Francesco Galeazzi

La regione Emilia-Romagna è stata recentemente colpita da una serie di inondazioni catastrofiche che hanno scosso le comunità locali, agendo come triste richiamo sulla questione del cambiamento climatico e la gestione delle emergenze. Il fatto di aver causato danni considerevoli ha messo in evidenza la necessità urgente di affrontare le sfide che il riscaldamento globale ci pone davanti, con la necessità di adottare misure efficaci per proteggere le persone, le proprietà e l’ambiente naturale.

Pur essendo le inondazioni un evento naturale ricorrente, non possiamo ignorare il fatto che fenomeni di questo tipo, ultimamente sempre più frequenti e sempre di più ampia portata, siano causate dalle attività dell’uomo. Come evidenziato dalla comunità scientifica, il cambiamento climatico in atto ha carattere di essere fortemente antropizzato, causato dall’uomo nel corso delle quattro rivoluzioni industriali che si sono succedute nel tempo. Nel 2020 la temperatura media è stata di 1,25 gradi Celsius più alta rispetto a quella del periodo 1800-1900, al punto tale da collocare il 2020 come l’anno più caldo mai registrato dalla storia.

È importante comprendere, però, che il fenomeno del global warming ha implicazioni non solo sull’ambiente ma anche sulla nostra società e sulla nostra economia.
Ulrich Beck, sociologo tedesco, nei suoi libri “La società del rischio” e “La metamorfosi del mondo” descrive perfettamente le trasformazioni in atto nella nostra società, che sta attraversando una fase chiamata “seconda modernità”. Per lo studioso, la società del rischio si basa su tre dimensioni:

– la prima è quella di considerare il rischio un concetto che travalica i confini nazionali. Crisi finanziarie, terrorismo, malattie e cambiamento climatico sono solo alcuni dei fenomeni che interessano intere società in tutto il globo terrestre.

– il secondo è che viviamo in una società caratterizzata da un incertezza diffusa e da una crescente consapevolezza dell’ignoto, una società caratterizzata da una pluralità di saperi e in cui la scienza, avendo perso la sua legittimità, non riesce a essere il faro che ci indica la via maestra.

– la terza, a mio avviso la più importante, è quella della responsabilità individuale. In una società cosmopolita, le persone (ma non solo) sono chiamate a prendere decisioni e ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni.

Inoltre, concetti come Stato-Nazione non hanno più ragione d’essere in quanto le nostre esistenze, oramai, sono caratterizzate da interdipendenza (socio-economiche ma anche bio-fisiche) nonché da esternalità (positive o negative), cioè dal fatto che le azioni che vengono intraprese in un Paese possono avere delle conseguenze in un altro. Purtroppo sono i Paesi più poveri a subire le maggiori conseguenze del cambiamento climatico, nonostante siano i meno responsabili. Proprio per questo sarebbe utile adottare strategie di “giustizia climatica” come definite dalla Mary Robinson Foundation, che “colleghi[no] diritti umani e sviluppo, per raggiungere un approccio centrato sull’uomo, salvaguardando i diritti dei più vulnerabili, dividendo il fardello dei costi del cambiamento climatico, condividendo la ricerca di una soluzione in modo giusto ed equo”. Una giustizia che consideri gli aspetti intra e intergenerazionale, interspecie e di genere (le donne sono le più vulnerabili al fenomeno del global warming).

Affrontare il cambiamento climatico richiede azioni immediate e coordinate. Solo attraverso un impegno comune e un cambio di paradigma possiamo sperare di creare un futuro in cui la prosperità sia condivisa da tutti e l’equità sociale sia la base su cui si fonda la nostra società. Ne va della sopravvivenza del genere umano.

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