Pioli non è più on fire… e tutto il Milan pure. Dopo lo Scudetto dello scorso anno, il fuoco rossonero si è spento sul più bello, a un passo da una finale di Champions che avrebbe avuto qualcosa di epico. Il sogno del Milan, che poteva apparire miracoloso, è per contro qualcosa che è stato alimentato da un carburante che di metafisico ha ben poco: un buon progetto. Il Milan è prima tornato in Champions dopo sette anni, poi si è laureato campione d’Italia dopo undici anni e poi è arrivato in semifinale di Champions, dove mancava da 16 anni: un triennio di risultati importanti, non si può certo parlare di qualcosa di casuale, neppure di scontato. E che adesso non va battuto al vento.

No perché i rossoneri questo triennio felice lo hanno raggiunto in maniera molto diversa rispetto al passato, quando la grandeur berlusconiana che di certo non lesinava l’impiego di ingenti capitali economici ha permesso di dominare il mondo. Molto diverso (e moderno) il progetto di Maldini e della proprietà rossonera: c’è Stefano Pioli alla guida, che va ricordato, era arrivato come traghettatore e con addosso l’etichetta del provinciale prima di riguadagnarsi sul campo la riconferma, di riportare il Milan in Champions, di renderlo campione d’Italia e portarlo poi nella fase finale della principale manifestazione calcistica continentale.

Certi ragionamenti sembrano inopportuni dopo la delusione per l’eliminazione proprio ai danni dell’Inter, che nel doppio derby europeo è apparsa – almeno a tratti – nettamente superiore. Lo ha ammesso lo stesso Paolo Maldini: “Il divario con l’Inter è reale“. Già, perché va detto, dopo la stagione che ha visto i rossoneri laurearsi campioni d’Italia non si può dire che il mercato in entrata sia stato felice: De Ketelaere magari si farà, ma ad oggi il suo contributo, anche in considerazione del fatto che il belga è il principale investimento milanista, è pressoché nullo. A vario livello anche i vari Origi, Dest, Adli e Vranckx non hanno inciso granché. Discorso diverso per Pobega e Thiaw, in particolare per quest’ultimo.

A portare avanti le sorti della squadra di Pioli è stata la vecchia guardia, per quanto vecchi possano essere definiti Leao, Krunic, Tonali, Calabria, Theo, Tomori e gli altri, naturalmente. Loro e la capacità di Pioli di tener lontane le tentazioni di sentirsi nobili, di guardare al blasone e semmai di accettare deliberatamente partite da provinciale. Si prenda il doppio, anzi, il triplo confronto col Napoli, esempio migliore ancor più che gli ottavi col Tottenham: è andata bene in campionato col 4 a 0 al Maradona adattarsi agli azzurri paralizzando Lobotka in mezzo al campo e tenendo pronti Diaz, Leao e Theo a ripartire, partita in fotocopia messa giù dal Milan all’andata e al ritorno dei quarti di finale. Con un po’ di fortuna, con qualche errore arbitrale di mezzo, brutta, sporca, cattiva ma così è arrivata la semifinale di Champions. A cui probabilmente i rossoneri sono arrivati senza benzina.

Certo, ha lasciato a desiderare il campionato: la lotta scudetto abbandonata praticamente prima della pausa mondiali e poi punti persi in maniera incredibile in particolare contro le piccole, fino alla sconfitta contro lo Spezia e al confronto con gli ultras. Ma al netto di prestazioni negative ed errori c’è da dire che la qualificazione alla prossima Champions (attraverso il campionato) è ancora aperta, anche in considerazione di ciò che accadrà alla Juve. Rimanere fuori dalle prime quattro sarebbe il vero fallimento: questo sì che costringerebbe il Milan e Pioli a ridimensionare sul più bello un progetto che invece deve proseguire, semmai solo aggiustare la rotta.

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