Il 15 febbraio scorso, senza neanche grande sorpresa, era arrivata l’assoluzione e qualche prescrizione per gli imputati del processo Ruby ter sulla ipotizzata corruzione delle giovani ospiti delle serate ad Arcore per dare una versione edulcorate sulle feste dell’ex premier Silvio Berlusconi. Ebbene il collegio che con la formula del “fatto non sussiste” aveva cassato di fatto il processo ritenendo – al contrario di tutti gli altri giudici che si erano occupati del caso – che le testimoni dovessero essere interrogate da indagate. E questa interpretazione è alla base delle motivazioni depositate oggi. La premessa dei giudici arriva a pagina 87 ed è che “le accuse formulate nel presente giudizio si coagulano intorno a due gruppi di imputazioni, in ordine alle quali è necessario affrontare questioni di fatto e di diritto non coincidenti“. La sintesi delle 198 pagine è che senza la qualifica di testimoni delle ragazze e quindi senza la funzione di pubblici ufficiali che caratterizzano il reato di corruzione in atti giudiziari non ci può essere neanche il corruttore ipotizzato.

“Possibile discutere di corruzione e induzione a mentire”- “Se le imputate fossero state correttamente qualificate e gli avvisi fossero stati formulati, si sarebbe potuto discutere della configurabilità dell’articolo 377 bis del codice penale” – delitto di induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria – “ovviamente nei confronti del solo Berlusconi in relazione alle dichiaranti che avessero scelto il silenzio e dell’articolo 319 ter codice penale”, ossia corruzione in atti giudiziari, “con riferimento a quelle che invece avessero consapevolmente deciso di rendere dichiarazioni sulla responsabilità altrui. Ma quell’omissione di garanzia ha irrimediabilmente pregiudicato l’operatività di fattispecie di diritto penale sostanziale strettamente connesse con il diritto processuale” scrivono i giudici. I magistrati, citando le norme sul diritto al silenzio degli imputati di un reato connesso ed elencando chi non può essere sentito come testimone in un processo, sostengono “che è appena il caso di specificare che, sebbene tale disposizione alluda all’imputato di reato connesso, non vi è alcun dubbio che le considerazioni si applichino alla posizione del soggetto indagato”. Una sovrapposizione che permette al collegio di concludere che “tutte le considerazioni che seguono afferiscono indifferentemente all’imputato come all’indagato”. L’articolo 61 del codice di procedura penale prevede che “i diritti e le garanzie dell’imputato si estendono alla persona sottoposta alle indagini preliminari”.

Le testi erano da indagate “sette mesi prima” che venissero sentite – Alla fine è stato quindi il “nodo” giuridico dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni delle ex giovani ospiti delle “cene eleganti” di Arcore a chiudere il primo grado del processo Ruby ter. Anche se i giudici rispetto alla questione ritengono che “qui non si discute di un mero sofisma, di una rigidità procedurale, di una sottigliezza tecnica priva di contenuti”. Si tratta di tutelare “il diritto al silenzio”, che “significa assicurare” una garanzia. Le ragazze – che in molti casi ricevevano una paga da 2500 euro e che sostenevano la visione delle “cene eleganti”, secondo i giudici Mauro Gallina e Silvana Pucci presieduti da Marco Tremolada, non hanno “mai acquisito l’ufficio pubblico di testimone” perché “ben prima” di essere sentite “ciascuna era stata raggiunta” da “plurimi indizi del delitto di corruzione in atti giudiziari“. Secondo i magistrati indizi “dell’interesse economico” dietro le “dichiarazioni compiacenti” in alcuni casi qualificate come “false testimonianze” erano “entrati nel patrimonio conoscitivo” della Procura di Milano “sin dall’aprile 2012” e cioè “7 mesi prima” che venissero sentite. Stesso discorso che vale per Karima “Ruby” El Mahrou: già “un anno prima” dell’esame “in dibattimento” di nel processo Ruby 1 “erano emersi plurimi indizi delle importanti elargizioni economiche in suo favore da parte di Silvio Berlusconi”. Secondo l’accusa invece le ragazze al momento delle dichiarazioni “erano testimoni puri, persone radicalmente estranee ai fatti, che al momento dell’escussione non erano in alcun modo indagabili per corruzione in atti giudiziari, ma al più attinte da generici sospetti di corruzione” e i che “meri indizi” non sarebbero bastati a innescare una iscrizione nel registro degli indagati.

L’ordinanza sulle inutilizzabilità delle testimonianze – Il collegio aveva già espresso la sua convinzione sulla qualifica giuridica il 3 novembre 2021 quando avevano emesso l’ordinanza con cui avevano dichiarato inutilizzabili le testimonianze accoglienza un’istanza dei legali del Cavaliere, Federico Cecconi e Franco Coppi. Le 21 ragazze, Ruby compresa, andavano iscritte nel registro degli indagati perché su di loro c’erano già “indizi” su presunti versamenti corruttivi da parte del leader di Forza Italia. Vennero, invece, sentite non “legittimamente” come testi semplici, non assistite da avvocati e senza la facoltà di non rispondere. E dato che “andavano correttamente qualificate come indagate di reato connesso e non testimoni”, secondo i giudici, non solo non si configurano le false testimonianze, ma “neppure il reato di corruzione in atti giudiziari” collegato, perché non ci sono più i testi pubblici ufficiali “corrotti”. Di conseguenza nemmeno “l’ipotizzato corruttore, nel caso di specie Berlusconi… Neppure vi è spazio per una riqualificazione dei fatti o per la trasmissione degli atti al P.M. perché proceda per un fatto diverso, provvedimenti invero nemmeno sollecitaci da alcuna delle parti”. In conclusione, scrive il collegio Tremolada-Pucci-Gallina nelle 197 pagine di motivazioni, “quanto accaduto nella vicenda processuale” del Ruby ter “è paradigmatico del fatto che l’autorità giudiziaria deve assicurare il rispetto nel caso concreto del bilanciamento tra la garanzia dell’individuo e le istanze della collettività di accertamento dei reati, conchiuso nelle norme sullo statuto dei dichiaranti”, ossia dei testimoni.

Gli “indizi già a disposizione” nei processi Ruby 1 e 2 – La procura di Milano ha elencato nel processo Ruby ter, quali prove del presunto accordo corruttivo tra Berlusconi e le giovani donne ospiti durante le serate di Arcore, “elementi che – in forma di indizi – erano già a disposizione dei collegi dei processi cd. Ruby 1 e Ruby 2” e ciò “dimostra” “che in quei processi quegli elementi potessero e dovessero determinare all’escussione delle imputate come indagate sostanziali”, rispetto alle quali non servono prove ma “sono sufficienti indizi del reato“. Indagare le testimoni “avrebbe evitato un dispendio di attività processuale di fatto rivelatasi inutilizzabile e posto le legittime premesse per trarre le corrette conseguenze in tema di responsabilità“. Quegli indizi furono valorizzati dai collegi dei due processi “solo al fine di privare in concreto di valore probatorio le dichiarazioni rese, anche in considerazione della ritenuta falsità delle medesime”. “Ma, all’evidenza, non si poteva certo aspettare che il soggetto asseritamente pagato per rendere dichiarazioni false rendesse queste ultime per dimostrare un’indebita interferenza con l’attività processuale di cui già c’erano indizi. Diversamente, come osservato, si finirebbe per realizzare l’obiettivo che le norme sull’incompatibilità a testimoniare intendono scongiurare: costringere taluno ad autoaccusarsi e incriminare il soggetto già impropriamente escusso come testimone per le dichiarazioni rese in una veste che non poteva legittimamente assumere”.

Le testimoni “pure” e le “fonti inquinate” – Il collegio quindi ritiene che “è innegabile che, escutendo come testimoni “pure” quelle che in realtà erano indagate di reato connesso, si è verificato esattamente quello che il sistema di garanzie qui ristabilito intendeva evitare. Quello che, anzi, il sistema avrebbe evitato se quelle garanzie fossero state osservate: le dichiarazioni assunte nella veste incompatibile non sono state utilizzate dai due collegi perché reputate inattendibili e anzi frutto di inquinamento probatorio. La prova dei fatti per cui sì procedeva si è di fatto fondata sulle acquisizioni legittimamente assunte: le dichiarazioni delle testimoni “pure”, le intercettazioni, i documenti. Se fossero state osservate le garanzie collegate all’effettiva veste delle dichiaranti, – si legge nelle motivazioni – non si sarebbero disperse energie processuali nell’acquisizione di dichiarazioni da fonti che si sapevano ‘inquinate’ a monte e che, a valle, sono state comunque ritenute sterili ai fini dell’accertamento dei fatti. Tutte le odierne imputate, infatti, sono state infatti ritenute inattendibili proprio perché contaminate dal più volte evocato ‘inquinamento probatorio’, come efficacemente denominato dalla sentenza resa all’esito del processo cd. Ruby 2. Senza contare la generazione di un terzo filone processuale, il presente, che non ha potuto fare a meno – diversamente avrebbe tradito l’essenza dello Stato di diritto – di ripristinare quell’ordine di garanzie violato, il tutto con profusione di ulteriori energie processuali che una riflessione sulla posizione processuale delle dichiaranti, prima di escuterle, avrebbe evitato. Si chiude qui l’unica considerazione postuma che questo collegio si è concesso”.

La procura di Milano ha 45 giorni per il ricorso – I pm di Milano, il sostituto procuratore Luca Gaglio e la procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, dopo aver letto con attenzione le motivazioni della sentenza sul caso Ruby ter, depositate stamani, valuteranno di ricorrere in appello. In passato due diversi giudici (gup) di Milano in due filoni di udienza preliminare sul caso Ruby ter, tra il 2016 e il 2017, erano arrivati a conclusioni nettamente diverse sulla questione dei testi, che ha portato il Tribunale a metà febbraio ad assolvere tutti. Sulle giovani ex ospiti delle serate di Arcore, quando tra il 2012 e il 2013 testimoniavano nei due processi sul caso Ruby, c’erano solo “sospetti” su una presunta corruzione, a detta di quei due giudici. “Meri sospetti” che “non comportavano la necessità” della loro iscrizione nel registro degli indagati. E furono “correttamente escusse come testimoni”, tanto che “loro dichiarazioni appaiono pienamente utilizzabili”. Gli inquirenti avranno 45 giorni di tempo da oggi per depositare il loro ricorso in appello.

B.COME BASTA!

di Marco Travaglio 14€ Acquista
Articolo Precedente

“Codice degli appalti? Sarà difficile controllare il flusso di soldi del Pnrr”: l’analisi di Gratteri

next