Ad aprile una talpa dell’agenzia delle entrate americana (Internal Revenue Service – Irs) aveva rivelato che l’indagine per frode fiscale su Hunter Biden era oggetto di “interferenze politiche” e “favoritismi”, e si era detta pronta a testimoniare davanti al Congresso. E ora la stessa persona, scrive il New York Post, tabloid dell’impero Murdoch, ha dichiarato che, su ordine del Dipartimento di Giustizia, il fisco americano ha rimosso “l’intera squadra investigativa” dalla sua lunga inchiesta nei confronti del figlio del presidente. Squadra di cui anche lui faceva parte. Il whistleblower, che ha recentemente contattato il Congresso per denunciare i favoritismi di cui era oggetto il caso, ritiene che si tratti di una mossa “chiaramente ritorsiva”. L’”epurazione”, rilanciata anche da Fox News, sarebbe stata effettuata su ordine del Dipartimento di Giustizia, secondo quanto riferito dagli avvocati della talpa in una lettera al Congresso. “Oggi l’agente speciale per la supervisione criminale dell’Internal Revenue Service (Irs) che rappresentiamo – scrivono i legali – è stato informato che lui e tutto il suo team investigativo sono stati rimossi dalla delicata indagine in corso su un argomento controverso e di alto profilo su cui il nostro cliente ha cercato di fare rivelazioni al Congresso” in qualità di whistleblower, ossia di ‘talpa’ protetta dalla legge.

L’indagine – La Casa Bianca ha sempre respinto le accuse di interferenze, ma il caso espone ulteriormente il presidente alle critiche già violente dei repubblicani sul figlio. L’inchiesta è stata avviata nel 2018 e, inizialmente, era concentrata sui lavori di consulenza e i legami oltreoceano di Hunter. Con il passare del tempo gli investigatori si sono poi concentrati sul suo reddito, le sue dichiarazioni fiscali e sulle falsa dichiarazione del 2018 per l’acquisto di una pistola. Il figlio del presidente e i suoi legali cercano senza successo da mesi di archiviare l’indagine. Hunter ha pagato anche un milione di dollari di tasse arretrate per cercare di chiudere il caso ma non è bastato.

Le dichiarazioni della talpa – “Nonostante i seri rischi di ritorsione, il mio cliente è pronto a fornirvi le informazioni necessarie per esercitare la vostra funzione di vigilanza”, aveva scritto ad aprile Mark D. Lytle, il legale della talpa, ad alcune commissioni di Camera e Senato. Nella missiva non si citava esplicitamente Hunter Biden: si faceva riferimento a un “soggetto di alto profilo” identificato dal Wall Street Journal come il figlio del presidente. Le informazioni che la talpa, un agente dell’Internal Revenue Service, si diceva disposto a fornire riguardavano “esempi dettagliati di trattamenti preferenziali su decisioni e protocolli che normalmente sarebbero stati seguiti se il soggetto non fosse legato alla politica”, ha spiegato il suo legale. “Nelle decisioni degli agenti” dell’Internal Revenue Service “sui passi e le iniziative da prendere nell’esame del caso pesano considerazioni politiche”, aveva aggiunto ancora Lytle in un’intervista a Cbs, senza sbilanciarsi su chi pagasse i conti legali del suo assistito. “Non voglio entrare nei dettagli“, ha risposto secco. Le accuse rischiano di complicare l’attesa corsa alla Casa Bianca di Joe Biden, aprendo la strada alle critiche dei repubblicani e di Trump che, già nel 2020, aveva cavalcato il caso Hunter Biden accusando i media ‘fake news’ di insabbiarlo.

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