La terza meraviglia. Almeno per i napoletani lo scudetto vinto da Spalletti, da Kvara, da Osimhen, da Raspadori ha un valore immenso, un monumento all’attesa, all’entusiasmo e anche alla sofferenza, viste le tante delusioni. E come ogni meraviglia visibile, dal Colosseo al Taj Mahal, ci sono le fondamenta, quelle meno visibili, quelle che sono costate fatica e sudore lontano dai luccichii dei riflettori. “Sì, penso di aver messo anche io il primo mattoncino di quello splendido palazzo che oggi è il Napoli Campione d’Italia, da capitano in C nell’anno della promozione fino al ritorno in A e in Europa…e sì, mi sento davvero orgoglioso di essere parte di questa storia”. Lontano dai luccichii c’era Francesco Montervino, capitano del fu Napoli Soccer.

Montervino fu tra i pochi, pochissimi, reduci del fallimento a non scappare, a rifiutare le richieste in Serie B e in Serie A. Disposti a ripartire dalle magliette acquistate in un sale e tabacchi a Paestum. Capitano nell’ultra provincia, quando essere capitano significava non virtuosismi e giocate di fino, ma anche e soprattutto entrare duro su chi si beava del palcoscenico offerto dal Napoli, lottare nel fango. Fu fondamentale in Serie B, Montervino, in un campionato vinto conquistando i tre punti spesso di misura e di lotta. C’era anche in A, nelle prime due stagioni, levandosi la soddisfazione di uno splendido gol all’ultima giornata contro il Chievo e di scendere in campo nel ritorno in Coppa Uefa del Napoli, contro il Vlaznia di Scutari. Passa da Paestum, passa dalle espulsioni che si è preso, passa da qualche suo calcione lo Scudetto che vince la squadra di Spalletti.

Una storia nata dal fallimento, dagli svincoli di tutti quelli che facevano parte del vecchio Napoli, nella stragrande maggioranza occasioni a zero: “Sì, nel 2004 c’erano diverse società di B e anche di A che mi cercarono: non era facilissimo accettare la Serie C…ma il Napoli è sempre il Napoli”, racconta Montervino. Un Napoli che già sognava trionfi che 19 anni fa erano più che altro forme indistinte, dimensioni prettamente oniriche: “La percezione che si potessero fare grandi cose c’era, poi è chiaro, vedi quello che è capitato con Sarri nell’anno dei 91 punti e pensi che quella sia la fine di un sogno, che un’occasione del genere non capiti più. Però quello del Napoli di quest’anno è uno scudetto importante per tutto il movimento calcio”.

Il lavoro e il progetto come base, secondo Montervino, che sul lavoro ci ha costruito la sua vita da mediano, oggi sono l’unica ancora di salvezza possibile per il calcio: “In estate si respirava un clima particolare: erano andati via calciatori importanti, simboli del Napoli, ci si era affidati a giovani di cui si parlava bene ma che erano praticamente sconosciuti. Ecco questa secondo me è l’unica strategia possibile oggi in un calcio malato e dopato: scegliere chi ha competenze tecniche e affidargli un progetto, crederci…si era aperta una strada che vedeva grandi manager alla guida dei club…ma senza competenze tecniche è difficile arrivino i risultati. Quello del Napoli è uno Scudetto che premia 18 anni di lavoro fatti in un certo modo, con idee e programmazione: c’erano all’epoca, ci sono ora”.

Ed ora c’è la festa all’orizzonte: “Se mi inviteranno ci sarò sicuramente, sarei onorato e contento di esserci…altrimenti festeggerò lo stesso coi tanti amici che ho a Napoli: insomma non c’è dubbio che questo Scudetto lo festeggerò in ogni caso. Cosa dico a Napoli e alla piazza? Di godersi il momento senza pensare a nulla. È il momento del Napoli e dei napoletani ed è bellissimo, è il momento di godere a piene mani di un trionfo che è tutto suo e che aspettava da tanto”. Da quando c’erano da fare scivolate nel fango a Manfredonia o a Gela, senza mai tirarsi indietro.

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Napoli campione d’Italia: ieri il Milan, oggi gli azzurri, domani chissà. Nel vuoto di potere della Serie A vince il progetto

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